Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 14/09/2010, 14 settembre 2010
BASILEA 3 NON È IL NEW DEAL SERVE IL DISTACCO DAL PASSATO
Le Borse accolgono Basilea 3 spingendo al rialzo i titoli bancari. È un bene o un male? Dipende. Il rialzo significa che gli investitori ritengono i nuovi requisiti di capitale richiesti dai banchieri centrali facilmente sostenibili sia per la scarsa consistenza che per i 6 anni di tempo per mettersi al passo. Ma quel che è bene per gli investitori, che oggi come ieri mirano al profitto immediato, è bene anche per l’economia e la società? Il dubbio è legittimo.
La crisi bancaria internazionale è figlia dell’economia del debito, che gonfia lo sviluppo con i soldi degli altri. Di quest’economia drogata le banche sono state effetto, causa e motore. Il rimedio sarebbe la graduale (e dolorosa) riduzione del debito per tornare a crescere domani, magari meno di prima ma in modo più sano, equo e, diciamolo, onesto. Difficile seguire altre strade. Ci sono già state aziende che promettevano di ridurre il debito aumentando il fatturato: erano le Partecipazioni statali degli anni ’80. Ma il rimedio, proprio perché duro, implicherebbe uno sforzo riformista grande, diffuso in tutte le attività e non solo nella finanza. Negli anni ’30, il New Deal non ruppe solo la fratellanza siamese tra banca commerciale e credito finanziario, suscitando le ire di Wall Street, ma cambiò il modo di vivere dell’Occidente. Basilea 3 ha un tale respiro? La risposta è no. La manovra sui requisiti di capitale rischiava di penalizzare i virtuosi che non avevano chiesto soccorsi, perciò è stata ammorbidita. Del resto, di fronte a una vera crisi di liquidità non c’è capitale che tenga.
Servirebbe invece un serio governo della trasformazione delle scadenze, la rimozione del conflitto tra la banca azionista e creditrice, la sterilizzazione dei derivati fine a se stessi, cioè di quasi tutti, il ritorno ad attese di profitto coerenti con i rischi tollerabili senza altri salvataggi pubblici. Ma per questo ci vorrebbero dei Roosevelt del nuovo millennio e non banche centrali e governi comunque legati al passato. Che negli Usa, il Paese guida, si riassume in due dati: il debito globale americano era di 47 mila miliardi di dollari nel giugno 2007, alla vigilia del disastro, ed è a 52 mila miliardi adesso. Non solo l’Italia, ma l’Occidente sta galleggiando. Nella speranza che i guai si risolvano da soli.
Massimo Mucchetti