Serena Gana Cavallo, ItaliaOggi 14/9/2010, 14 settembre 2010
È UN VERO GUAIO ESSERE ALLUVIONATI SE SI È PAKISTANI
Niente sms da un euro o chiamate da casa da due euro. Niente amici dei media, testate giornalistiche, telegiornali, amici del mondo, vescovi (per quanto se ne sa), associazioni imprenditoriali, comunità di pie donne, organizzazioni di bravi giovani. Niente di niente o quasi. L’Unicef, per obbligo ontologico e deontologico, diffonde radi annunci, l’informazione a stampa e televisiva realizza servizi di vaste distese allagate in varie parti del mondo e discetta sui cambiamenti climatici. Si sa poco di missioni plurime di C 130 carichi di soccorsi, poco anche di ospedali da campo e crocerossine in missione. Magari ci sono, ma non fanno notizia. Gli italiani, ma forse anche altri popoli occidentali, sembrano del tutto inerti rispetto alle tragiche alluvioni che hanno devastato il Pakistan, ma è ancor più impressionante l’atteggiamento del mondo dell’informazione. Come anche i bambini ormai sanno, sono le campagne di comunicazione quelle che richiamano l’attenzione sul lancio di un nuovo prodotto come sulla raccolta fondi per sventure collettive. Quindi, questo è un fatto, in questo caso niente campagne, niente risveglio delle coscienze e della solidarietà di massa. I Pakistani? Che sfiga, poveretti. Ora, sembrerebbe utile interrogarsi sul perché di questo fenomeno. Le ipotesi potrebbero essere varie.
Sul fronte dei grandi media il timore di avere poca risposta (un flop sarebbe spiacevole) o la scelta di dedicarsi col massimo entusiasmo e spazio a tutti i moti sussultori, ondulatori, squassatori, giudiziari e immobiliari che rendono le cronache italiane effervescenti e di gran consumo.
Sul fronte dei comuni cittadini: possibile saturazione da sventure e sottoscrizioni, tra Haiti, Abruzzo, Telethon, incendi russi per cui il Premier spedisce Canadair e, ancora più lontano nel tempo, tsunami, coi villaggi dei pescatori dello Sri Lanka prontamente ricostruiti. Oppure: un certo senso di fastidio per la Protezione civile infangata da recenti inchieste, che induce ad una sfiducia generalizzata.
O ancora: la diffidenza per le amministrazioni locali di un paese in cui neanche l’inondazione di milioni di chilometri quadrati ferma i quotidiani attentati degli estremisti pro Al Quaeda, anche contro i pochi volontari stranieri. O, forse, la debole presenza di organizzazioni religiose in quel paese (dove anzi i cattolici sono sempre meno tollerati e talora ammazzati) che rende problematico anche un efficace “traino” da parte della chiesa cattolica. O il fatto che i venti milioni di persone, tra cui alcuni milioni di bambini, travolti dalle alluvioni appaiono troppi per concepire come li si possa aiutare. O un certo blando egoismo, alimentato dalle difficoltà oggettive che tormentano bilanci e sicurezze occupazionali degli italiani e che induce ciascuno a preoccuparsi prioritariamente della propria condizione. O il proliferare, ad ogni sventura, di nuove organizzazioni caritatevoli e spesso molto insistenti, di molte delle quali non si riesce a conoscere il grado di affidabilità.
Trovate voi la risposta giusta (barrare la casella), ma forse dovremmo tutti un po’ vergognarci e, forse, anche preoccuparci perché in un mondo di globalizzazione, di informazione, di tensioni religiose, di emigrazione da e per ogni dove, tanta aridità verrà notata, e ricordata.
Nel nostro paese sono tanti i pachistani che lavorano nei giardini, nelle pizzerie, nelle campagne, nelle nostre case. Così come sono tante le donne rumene che fanno le colf, il suicidio dei cui figli, bambini o adolescenti, rimasti a casa sta diventando un dramma sociale in Romania. Tra una polemica leghista ed una buonista, tra i rovelli di cittadinanze brevi o lunghe, tra auspici di accoglienze dell’universo mondo e espulsioni “etniche”, tra tutte le parole di cui ogni giorno è infarcita la nostra politica come la nostra vita, guardiamoci un po’ allo specchio: italiani cuore grande, ma solo se gli appelli sono martellanti e soprattutto se c’è chi decide che è il caso di farli. Se c’è silenzio, tutti zitti, guardando distrattamente il Tg della sera, in attesa della partita o del film.