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 2010  settembre 14 Martedì calendario

“In sala parto come ai box abbiamo salvato due vite” - Il pit stop della Ferrari fa scuola e non soltanto in Formula 1

“In sala parto come ai box abbiamo salvato due vite” - Il pit stop della Ferrari fa scuola e non soltanto in Formula 1. Far muovere sedici uomini con sincronia perfetta in uno spazio ristretto e con tempi calcolati al secondo (se non al decimo), senza poter sbagliare nulla, pena la sconfitta, richiede esperienza e preparazione. Servono freddezza, lucidità e automatismi. Quanto a organizzazione del lavoro, il box di una F1 può assomigliare in certi momenti alla sala parto di un ospedale. Nel novembre del 2006, l’ingegnere di Maranello Luca Baldisserri andò all’ospedale «Sandro Pertini» di Roma a trasmettere l’esperienza del Cavallino rampante. Dalle tute rosse ai camici bianchi. «La lezione ci è servita moltissimo», ricorda Massimo Giovannini, primario del reparto di Ostetricia e Ginecologia, 1800 nascite l’anno e un paio di emergenze la settimana. «Abbiamo ridotto le spese e risolto brillantemente alcune situazioni critiche». Professore, che cosa le ha insegnato il pit stop della Ferrari? «Innanzitutto a fare la check list. A ogni cambio di turno verifichiamo le procedure, controlliamo che i macchinari funzionano e i materiali siano al loro posto. Una volta, concluso un intervento ci limitavamo ad aspettare il successivo. Una perdita di tempo». Ricorda una situazione in cui ha pensato: «Se non ci fossimo preparati così avremmo rischiato la vita di una paziente»? «Sì, è successo circa un anno fa. C’era stato un distacco della placenta, la vita della madre e del bambino erano in pericolo. Il perfetto funzionamento della sala operatoria ci ha permesso di salvare entrambi e di evitare l’asportazione dell’utero. È stata una grande soddisfazione». A volte i pit stop vengono male: il pilota investe il meccanico o riparte troppo presto, si perdono le gomme... «È una lezione anche quella. Noi proiettiamo in aula magna il pit stop di Singapore, quando Felipe Massa ripartì con il tubo della benzina attaccato alla macchina». È sadismo, non crede? «No, è soltanto la dimostrazione che a noi serve un capo équipe, un soggetto che scandisce i tempi e che non è sostituibile da nessun automatismo. Per la nostra sala parto il capo équipe è l’equivalente del meccanico con il lolly-pop». Questione di velocità? «Sì, anche se non saprei quantificare in minuti o secondi, come fanno alla Ferrari. Per noi risparmiare tempo significa lavorare meglio soprattutto nella gestione delle emergenze, perché ci consente di avere un più ampio margine di sicurezza». Una delle priorità in un box è sistemare gli strumenti nel modo più funzionale. «È un altro aspetto su cui abbiamo lavorato in questi quattro anni. Oltre al tempo, siamo riusciti a risparmiare sull’acquisto di materiali di consumo. Le faccio l’esempio delle siringhe: se sai dove sono e quante te ne servono, ne compri una quantità minore. Da allora siamo riusciti a spendere fino al dieci per cento di meno». Ha avuto altri contatti con Maranello dopo quell’incontro con Baldisserri? «No, però mi piacerebbe fare un aggiornamento. Sono sicuro che abbiamo ancora qualcosa da imparare, anche se come squadra la nostra è diversa: siamo di più e distribuiti su più turni, però il concetto è lo stesso. Se la Ferrari preparasse un manuale sull’organizzazione del lavoro veloce farebbe un’opera utilissima».