STEFANO MANCINI, La Stampa 14/9/2010, pagina 16, 14 settembre 2010
Cambio gomme perfetto Ecco il segreto Ferrari - Tre secondi e mezzo è il tempo necessario a riempire un bicchiere d’acqua
Cambio gomme perfetto Ecco il segreto Ferrari - Tre secondi e mezzo è il tempo necessario a riempire un bicchiere d’acqua. O a cambiare quattro gomme, se si è meccanici della Ferrari. Come è possibile? Facile, a sentir loro: uno svita il dado, un altro toglie la vecchia ruota, un altro ancora mette quella nuova e il primo la riavvita. Altri due sollevano e riabbassano la monoposto con il cric. A quel punto il pilota riparte. Domenica a Monza, nel Gran premio di Formula 1 che Fernando Alonso doveva vincere a ogni costo per rimanere in corsa per il titolo mondiale, l’intera sequenza ha richiesto tre secondi e mezzo. «Per l’esattezza, sono 3’’4» correggono con una punta di orgoglio i protagonisti dell’impresa. Se fossero stati 3’’5 Alonso sarebbe rimasto dietro a Button e con ogni probabilità non avrebbe vinto. Ecco, dietro al campione che guadagna 25 milioni l’anno ci sono sedici «ragazzi», qualcuno già con i capelli bianchi, contratto da metalmeccanici, 1200 euro che quasi raddoppiano fra trasferte, lavoro festivo e turni senza orario, perché non la sai quando un motore si rompe, ma se succede va cambiato. E in fretta. Una vita con la valigia: viaggi in aereo, circuiti, alberghi, le uscite con la tuta rossa d’ordinanza che ha il fascino della divisa nell’universo femminile che ruota intorno alle corse. Si dice: il pilota rischia. Chiedetelo al meccanico della Hispania travolto domenica da Yamamoto durante un pit stop e finito al pronto soccorso con una commozione cerebrale, quanto è pericoloso lavorare in una corsia box quando a mezzo metro ti sfrecciano bolidi da 700 cavalli. Sono i mediani della Formula 1, anni di fatica e a volte casomai la gioia di vincere un Mondiale. O, più modestamente, di raccogliere al volo la magnum di champagne che i piloti fanno cadere dal podio dopo ogni successo. A Maranello quelli del pit stop li selezionano in una rosa di trenta che svolgono comunque anche altre mansioni, sia in fabbrica sia in pista. È una specie di squadra di calcio: 16 titolari e 8 riserve pronte a subentrare se c’è da sostituire un musetto danneggiato, riaccendere un motore che si è spento o estinguere un incendio. Ognuno con il proprio compito da portare a termine in quei tre secondi e mezzo. Lo chiamano pit stop, e già il nome rende l’idea della brevità. Fino all’anno scorso la sosta includeva anche il pieno di benzina, che con i macchinari in dotazione non durava mai meno di otto secondi. Gli addetti al cambio gomme, quindi, avevano un margine di sicurezza. Dal 2010, il destino di una gara equilibrata è nelle mani dei meccanici. Domenica sera, Fernando Alonso li ha ringraziati («Siete stati perfetti, senza di voi non sarei qui a parlare da vincitore»), mentre Felipe Massa si è lamentato («La mia sosta è stata un po’ troppo lunga, forse sarei arrivato secondo»). Il record assoluto la formazione Ferrari l’ha stabilito in Canada: 3’’3 e sorpasso Alonso-Hamilton riuscito. La media del 2010 è di 3’’7. Il segreto? Allenamento e tecnologia. Da inizio anno, sono state fatte 1300 prove di pit stop. Sono tre le sedute settimanali di preparazione, ognuna di trenta simulazioni cronometrate (una delle quali si sarebbe conclusa in 3’’ netti, ma i racconti dei meccanici sono come quelli dei pescatori: in Red Bull vantavano un tempo di 1’’8, poi hanno ritrattato). «In pista lavoriamo dal giovedì al sabato, affrontando il weekend come le squadre di calcio - spiega Diego Ioverno, responsabile operazioni in gara e montaggio vettura e cambio -. Alla vigilia una rifinitura, la domenica relax prima della partita». Ogni ruolo richiede caratteristiche fisiche e mentali specifiche. Gli addetti ai carrelli devono essere robusti, visto che sollevano una vettura che pesa fino a 800 chili con il pieno di benzina, mentre agilità, freddezza e prontezza di riflessi sono i punti di forza di chi lavora sulle ruote. «È molto più facile perdere una gara al pit-stop piuttosto che vincerla», sostiene Ioverno. Monza è la splendida eccezione.