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 2010  settembre 14 Martedì calendario

GLI SCIACALLI DI GROUND ZERO

Questo anniversario degli attacchi terroristi dell´11 settembre è stato forse il più triste ed è stato celebrato sullo sfondo delle proteste contro la cosiddetta "moschea a Ground Zero".
Un insieme di sciacallaggio politico e sentimento anti-islamico che ha trasformato un progetto piuttosto modesto e perfino lodevole nello spettro minaccioso di un Islam militante che sta per prendersi New York. Uno spirito lontano anni luce dall´atmosfera dei giorni dopo la tragedia, quando la città era profondamente unita, sinceramente commossa per la terribile fine delle vittime e priva di desiderio di vendetta.
Ora, politici con ambizioni presidenziali (come Sarah Palin e Newt Gingrich) che normalmente parlano con disprezzo di New York come città "cosmopolita" (quindi non-americana) e se ne infischiano dei nostri morti si improvvisano difensori della memoria dell´11 settembre e parlano di questo centro islamico a Manhattan come di una "coltellata nel cuore" dell´America o come un cavallo di Troia della strategia spietata dei musulmani di islamizzare gli Stati Uniti.
A due mesi delle elezioni di mid-term di novembre questo progetto è stato strumentalizzato al massimo usando distorsioni e mezze verità per ottenere un guadagno politico facile a breve termine, che potrebbe rivelarsi una grave perdita a lungo termine per tutti.
Il termine "Moschea a Ground Zero" evoca l´immagine di un edificio prettamente religioso con la cupola a cipolla e il minareto che sorge sul suolo dove giacciono i resti polverizzati delle vittime dell´11 settembre, una specie di "moschea trionfale" (come è stato descritto da alcuni) sul cimitero dei martiri.
Ma questo è falso. E, per quanto riguarda molti, volutamente falso. "L´iniziativa Cordova" non è una moschea nel senso stretto del termine ma un centro culturale con piscina, palestra, sala conferenze e una sala preghiera. Non sarà situato a Ground Zero ma a due isolati di distanza nel palazzo trasandato dove c´era un ex magazzino. Due isolati possono sembrare poco per chi non conosce New York, città verticale e con un tessuto urbanistico densissimo. In una città antica e orizzontale come Roma, due isolati dalla basilica di San Pietro potrebbe ancora essere quasi dentro il colonnato di Bernini. Ma a New York nel raggio di pochi isolati possono vivere e lavorare decine di migliaia di persone e convivere centinaia se non migliaia di attività commerciali e culturali. Negli isolati attorno a Ground Zero ci sono già due o tre club a luci rosse (che potrebbero - se ci fosse da guadagnare politicamente - rappresentare un´offesa alla tragedia). E a cinque isolati del sito della tragedia sorge una moschea. In una delle Torri gemelle c´era già una sala preghiera - una delle migliaia di attività in quella che era una specie di città nel cielo.
Dal punto di vista legale non ci dovrebbe essere alcuna controversia su questo progetto. La Costituzione americana (a differenza di molti paesi europei) non potrebbe essere più chiara. Vieta esplicitamente che si stabilisca una religione di Stato e allo stesso tempo impedisce allo Stato di interferire in alcun modo nell´esercizio libero della religione, di qualunque chiesa o culto sia. (Compatibilmente, ovviamente con le leggi civili dello Stato: quindi i figli degli Amish sono costretti a mandare i loro figli a scuola; i quaccheri pacifisti devono fare servizio militare alternativo e i mormoni hanno dovuto abbandonare la poligamia). Aprire una chiesa non è un atto soggetto a una concessione che lo Stato può decidere di dare o non dare ma un diritto. L´ha detto in modo molto eloquente il primo presidente americano George Washington in una lettera del 1790 ad una sinagoga del Rhode Island: «Tutti possiedono alla stessa misura la libertà di coscienza e le protezioni della cittadinanza. Ora non si può più parlare di tolleranza, come se spettasse ad una parte del popolo concedere ad altri l´esercizio naturale dei loro diritti. Fortunatamente gli Stati Uniti non permetteranno il pregiudizio e non aiuteranno la persecuzione, esigeranno solamente che quelli che vivono sotto la loro protezione saranno dei buoni cittadini».
Infatti, se badate bene, nessuno dei critici più feroci di questo progetto mette in dubbio il diritto di questa iniziativa ad andare avanti. Dicono semplicemente che i promotori del centro dovrebbero abbandonare volontariamente il progetto, per un senso di buon gusto, per non offendere la memoria di persone uccise nel nome dell´Islam. Quindi dobbiamo dire ai musulmani di oggi che i diritti che Washington ha garantito agli ebrei del 1790 non valgono più o almeno non per loro.
Lungi dall´essere uno sfregio alle vittime del terrorismo la "Cordoba Initiative" è un tentativo (tentativo ingenuo, data la reazione) di onorare le vittime delle Torre Gemelle, un gesto conciliatore di dialogo tra le fedi. Prende il nome Cordova per ricordare il periodo di convivenza piuttosto tranquilla tra musulmani, cristiani ed ebrei, la città dove tra l´altro convivevano il filosofo arabo Averroè (che aiutò l´Europa cristiana a conoscere Aristotele) e il filosofo ebraico Mosé Maimonide. Ciò non impedisce ad alcuni di vedere nel nome Cordova un riferimento sinistro al dominio islamico della Spagna (non sapete che la riconquista dell´Andalusia è tra i chiodi fissi di Osama Bin Laden?). Lasciamo perdere che l´imam che capeggia la "Cordoba Initiative" è l´uomo che il presidente George Bush mandò in giro per il mondo come ambasciatore di un Islam americano moderato. È previsto anche un memorial per le vittime dell´11 settembre fra cui, tra l´altro, ci furono una sessantina di musulmani.
Dico questo non per fare un´apologia dell´Islam, né per negare l´esistenza della minaccia letale e molto reale di un fondamentalismo islamico nel mondo, che potrebbe voler distruggere una città come New York che è il simbolo di tutto per quello che l´estremismo nega: apertura mentale, libertà di espressione e di religione, vivacità intellettuale e innovazione scientifica. Sono questi i valori che sto cercando di difendere e che sono in ballo anche in questa controversia.
Dopo l´11 settembre molti commentatori hanno chiesto ai musulmani di dimostrare chiaramente che stavano dalla parte delle vittime e non dalla parte dei terroristi. La stragrande maggioranza dei musulmani americani l´hanno fatto. Dopo l´11 settembre quasi tutti i negozi islamici hanno messo bandiere americane nelle vetrine - in parte per paura, in parte per sincero patriottismo. In nove anni, saranno stati arrestati e condannati circa una decina di musulmani americani per atti terroristici - una decina tra 6 milioni di musulmani che vivono negli Stati Uniti. Gli altri 5.999.990 sono qui per lavorare e vivere, per mettere da parte un po´ di soldi, comprarsi una casa o magari mandare i loro figli all´università più o meno come gli altri americani. La maggioranza dei musulmani ha votato per George Bush nel 2000, gli altri per Al Gore (altro che Osama Bin Laden). E oltre l´80% dei musulmani sentiti in una ricerca del 2003 si erano detti favorevoli a leggi più forti contro il terrorismo. Quindi i musulmani americani si sono sottoposti con poche lamentele alle lunghe code in aeroporto, dove spesso sono stati oggetto di perquisizioni motivate soltanto dalle loro origini.
Difendere questo progetto non è affatto "buonismo," ma realismo. Ci sono 600mila musulmani a New York, una città di otto milioni di abitanti. Se vivono qui e sono cittadini hanno il diritto di vivere come gli altri, con centri culturali e moschee. L´immigrazione ha arricchito gli Stati Uniti sia economicamente che culturalmente. Bisogna capire che la tolleranza non è una forma di debolezza e paura, dettata dall´idea: bisogna cedere ai musulmani e cercare di tenerli buoni se no ci attaccano. Non è così. Non è affatto autolesionismo permettere la nascita di moschee a New York (o a Milano) quando non si possono costruire chiese in Arabia Saudita. Ma io non voglio vivere in Arabia Saudita o in una società che somigli ad essa. (Voglio vivere a New York, dove la tolleranza non è una parola ma un modo di vivere). In realtà il dibattito attorno al centro islamico vicino a Ground Zero si riduce a questo: che tipo di società vogliamo? Vogliamo una società dove tutti i gruppi hanno gli stessi diritti o una società con cittadini di serie A e di serie B?
Il dibattito attuale ricorda per certi versi i discorsi che si sentivano durante la guerra fredda. Durante gli anni ‘70 e ‘80 si diceva spesso che l´Occidente era diviso e debole (interessato a fare soldi e al divertimento) mentre l´Unione sovietica era unita da una meta strategica molto chiara: la conquista mondiale. (Lenin stesso aveva detto che i capitalisti avrebbero venduto la corda con cui il comunismo li avrebbe impiccati). I governi occidentali dovevano confrontarsi con manifestazioni popolari e movimenti pacifisti mentre i leader dell´Urss mandavano tranquillamente i dissidenti nei gulag. Le società aperte si sono rivelate al lungo andare molto più forti proprio a causa delle loro libertà, che hanno generato idee nuove, innovazione tecnologica e crescita economica.
Forse i contestatori di questo progetto dovrebbero avere un po´ più di fiducia, non nell´Islam o in questo progetto, ma in sé stessi e nella società che dicono di voler proteggere.