Monica Ricci Sargentini e Luigi Offeddu, Corriere della Sera 13/9/2010; Marco Ansaldo, la Repubblica 13/9/2010, 13 settembre 2010
Il 12 settembre la Turchia ha approvato con il 58% dei Sì un referendum che modifica 26 articoli della Costituzione: in sostanza diminuirà l’influenza dei militari nella vita pubblica e aumenterà quella del governo sui giudici
Il 12 settembre la Turchia ha approvato con il 58% dei Sì un referendum che modifica 26 articoli della Costituzione: in sostanza diminuirà l’influenza dei militari nella vita pubblica e aumenterà quella del governo sui giudici. Alta l’affluenza, il 77,6%. Tra i favorevoli il Partito per la giustiza e lo sviluppo (AKP) del premier Recep Tayyip Erdogan, il fronte del No invece era composto dai nazionalisti eredi dei Lupi grigi e dal nuovo leader socialdemocratico Kemal Kiliçdaroglu. I principali cambiamenti riguarderanno il numero di giudici della Corte costituzionale (che passeranno da 11 a 17, di cui 14 nominati dal capo dello Stato e tre dal Parlamento) e del Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (il nostro Consiglio superiore della magistratura), che salirà da 7 a 22 membri. Le modifiche alla Costituzione, promulgata dopo il golpe militare del 1980, garantiranno per la prima volta ai dipendenti pubblici il diritto di sciopero e la possibilità di negoziare contratti di lavoro collettivi e ricorrere contro azioni disciplinari. Verranno inoltre rafforzati il diritto alla privacy, i diritti dei minori e per i processi ai membri delle forze armate accusati di reati contro la sicurezza dello Stato la giurisdizione sarà dei tribunali civili e non più di quelli militari. Per Erdogan «è una nuova alba. Adesso il Paese sarà più democratico». L’Ue approva, ma con riserva: «Un passo nella giusta direzione», che però dovrà essere seguito da leggi che rafforzino «i diritti fondamentali, le libertà di espressione e di religione». A parlare è il commissario per l’Allargamento Stefan Fule, che il 16 settembre incontrerà il leader dell’opposizione Kiliçdaroglu, già ribattezzato dall’Economist “il nuovo Kemal”, in riferimento al Kemal Ataturk fondatore della moderna Turchia laica. Il messaggio di Bruxelles è chiaro: chi vuol stare nell’Ue deve dialogare con l’opposizione nel proprio Paese.