Alessandra Iadicicco, Il Sole 24 Ore 12/9/2010, 12 settembre 2010
ABBIAMO PERSO IL FILO. DI PERLE?
Alla fine cadono anche loro, le perle: le intramontabili. Alle gioie più classiche tuttavia, sfere luminose, gemme inossidabili, è riservata una congrua uscita di scena, una degna entrata nell’ombra. Sono l’ultimo accessorio di cui ci si spoglia quando si è già tolto tutto il resto. E se, dopo il tramonto, degli abiti ci si libera come di un impedimento prima della notte, la collana, bracciale, monile, orecchino di perla si slaccia con prudenza, si sfila come un rito, si depone con cura sul comodino accanto al letto. E all’indomani non serve frugare tra i vestiti ammonticchiati, macerie del giorno prima, rovine di passione consumata, per pescare il tesoro che, primo e solo, torna a brillare sulla pelle con la stella del mattino.
Ma allora, il tramonto delle perle? Illusorio e temporaneo come quello di un astro ritornante? A porre la questione e a lanciare la provocazione è il quotidiano tedesco «Frankfürter Allgemeine Zeitung» che, nella rubrica Stützen der Gesellschaft, "Pilastri della società" (se il mondo, credevano gli antichi, poggia sul guscio di una tartaruga, il mondano potrà ben reggersi su un cuore di madreperla...) si interroga sul valore e la svalutazione, forse lo svilimento, del più antico e misterioso dei gioielli.
"Rara" per definizione, pura per essenza, simbolica per tradizione, la perla vedrebbe ormai appannate le sue migliori qualità, darebbe già da qualche tempo chiari segni dell’età. Custodita nello scrigno della conchiglia e in passato raccolta spericolatamente su fondali inaccessibili, si riproduce oggi per inseminazione artificiale e si vende a prezzi di economia globale: fu il giapponese Kokichi Mikimoto il primo a fecondare l’ostrica in laboratorio, negli anni Venti delle sue perle di coltura era già invaso il mercato. Storicamente riservata ai decolletè delle grandame, alle matrone romane, ai diademi delle regine, finiscono nei carillons delle sartine, nella stanza dei balocchi delle bambine (tra i giocatoli ultimamente più à la page c’è un infila-collanine delle Winx): nei portagioie di chi emulando dive e divette di cinema e Tv non fatica a trovare al supermercato la propria polvere di stelle.
Esposte nelle vetrine dei gioiellieri più esclusivi – con le creazioni di Tiffany in Usa, Ashbee, Wilson e Cooper in Gran Bretagna, Hoffmann e Moser in Austria, Carl Fabergé in Russia –, esibite nel look di Audrey Hepburn, Grace Kelly, Maria Callas, precipitano tra chincaglierie e bigiotterie. Contraffatte, truccate, taroccate, svendute nel bazar delle cineaste. Volgarizzate insomma tanto che, per distinguersi, già Jacqueline Kennedy e Coco Chanel ne indossavano di rigorosamente false. «Le faux est plus beau que le vrai» è la risposta giusta che la magistra elegantiarum d’Oltralpe avrebbe dato ai cinesi oggi capaci per due soldi di coltivare in acqua dolce perle del tutto identiche alle autentiche. E se per generazioni si ereditarono in linea femminile – di nonna in nipote, di madre in figlia: trasmesse coi segreti muliebri e i gioielli di famiglia –, eccole saltar fuori, per scherzo, sorpresa, caricatura o ironica citazione, come il regalo perfetto per la festa della mamma.
Eh no!, hanno protestato in coro i lettori della Faz. Non è sempre così, dicono le centinaia di lettere pubblicate sul sito del giornale. Le perle non perdono il loro charme con la produzione di massa. Perfino alla Halslosigkeit, la "mancanza di collo" delle tedesche danno una nota di eleganza. Sono un classico senza tempo, non invecchieranno mai. Non perdono la loro aura di magia sia che compaiano nelle fiabe di Andersen (L’ultima perla), nei romanzi Hermann Hesse (Il giuoco delle perle di vetro) o nei fumetti di Donald Duck.
Proprio così, il lettore ha sempre ragione. La perla non ha mai cessato di mostrarsi con la forza di un talismano. Nella mistica e nella moda. Negli oroscopi e nell’emblematica. Nell’astrologia e nella teologia degli Apocrifi: a San Tommaso è attribuito un bellissimo Inno alla Perla noto anche come un Inno all’Anima. Nei trattati di medicina antica (sciolta in aceto, sapeva bene Cleopatra, era creduta un afrodisiaco, o un buon rimedio per il mal di stomaco), e nei codici per l’interpretazione dei sogni. Basta chiamarla per nome ed ecco che, con parola piena, vocabolo intenso, appellativo denso di significati e evocazioni, si dice "la gioia", "il fiore", "la crema", "il pregio", "il meglio", l’eccezionale singolarità: questo è "una perla". Impossibile maneggiarla senza un fremito di emozione. Che la si tratti come un simbolo o come un simulacro, un amuleto delle religioni o un oggetto di superstizione.
La contraddizione d’altra parte – o è solo un contrasto tra superficie e profondità? – si raccoglie da sempre nel nucleo della perla.
La perla è ambigua, anfibia: di terra e di mare, di sabbia e di acqua. Goccia di luna, credettero i persiani, o lacrima di nuvola. Pianto di Naiade, o stilla di rugiada che, secondo Plinio il Vecchio, cadeva all’alba a fecondare l’ostrica affiorante con le valve aperte in cima all’onda. È animale e minerale, creatura di fondale e seme di radiosità. È orrida e meravigliosa come gli abissi che la concepirono: «A sea-change into something rich and strange», poetava Shakespeare nella Tempesta notando «ricchezza e stranezza» dei mari.
Ma anche estratta dal suo elemento, la perla appare doppia, ambivalente. È segno di bellezza, grazia, carattere, o di status, censo e potere. Esprime nobiltà e ricchezza, sensualità e purezza, l’umilitas e la vanitas, la tradizione avita e la seduzione ardita.
La Maddalena penitente del Caravaggio piange accasciata su una sedia con perle e monili gettati accanto a sé: segno di redenzione o di abbandono delle terrene perdizioni? E La pesatrice di perle di Jan Vermeer è donna gravida o avida, madre in attesa o calcolatrice mercantessa? Promosse al sacro dal profano tra l’altro, le perle nel Medioevo impreziosirono le copertine dei libri che richiamavano i monaci all’astinenza da piaceri, tesori mondani e venalità. Poi, sfogliando quelle pagine e leggendo quelle Scritture, si scopriva che a una perla l’evangelista Matteo paragonava il Regno dei Cieli: con la raccomandazione, a scanso di spregio e sopraffazioni, di non gettare «perle ai porci».
A una perla Salomone paragonava invece la più perfetta delle figlie e, in effetti, un emblema sia pur esteriore di perfezione si attribuirà a qualsiasi donna che, ornata di perla, metterà in luce gli arcani, gli enigmi, i risvolti più segreti della propria femminilità.
Perla è Afrodite, nata come il gioiello da una conchiglia violata, ed è Maria, la santa vergine immacolata. Perla è erotismo e virtù, malia e castità, purezza e fecondità, fascinazione e maternità. È anche un pegno di fedeltà: gesto d’amore, di dichiarazione, il dono che accompagna una promessa o alimenta un’illusione. Brillano ancora oggi al collo di Franca Florio, ritratte nel celebre dipinto di Giovanni Bodini, le perle che, inanellate in sette metri di sautoir, furono offerte alla consorte tradita dal fedifrago Ignazio, a espiazione delle sue scappatelle. E ripensando ancora alla scena dove, in camera da letto, le perle cadevano al tramonto, viene in mente uno degli angoli più lirici di Il museo dell’innocenza di Pamuk. Quello in cui «Füsun si tolse gli orecchini – uno dei quali è esposto qui, come il mio primo cimelio – e li appoggiò con cura sul tavolino di fianco. Questo suo gesto, pieno del senso del dovere di una ragazza miope che si toglie gli orecchini prima di fare il bagno al mare, mi fece definitivamente capire che avrebbe fatto l’amore con me andando fino in fondo». Füsun era "l’altra", la bellissima ragazza con cui Kemal tradiva appassionatamente la promessa sposa Sibel. A Sibel il protagonista e voce del romanzo avrebbe fatto però un altro regalo: gli orecchini di perle che suo padre aveva tenuto chiusi in un vecchio astuccio di velluto per anni, custoditi con il ricordo di un’amante segreta, e consegnati al figlio come un testamento alla vigilia del matrimonio. «Ma Sibel diventerà mia moglie!» protesta Kemal. «Basta non raccontarle la storia di questi orecchini», ribatte furbescamente il papà. Ignaro del fatto che, a dispetto di sotterfugi, meschinità, piccinerie da uomini, sarà lei – sposa, amante o fidanzata, amata o tradita, voluta o ingannata – a vestirsi, con il gioiello, del fascino irraggiungibile della ragazza dall’orecchino di perla.