Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 12/9/2010, pagina 80, 12 settembre 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
30 aprile 1966
Nome d’arte
Quando, venticinque anni dopo, Giovanni Agnelli accetta non senza perplessità la nomina a senatore a vita, si affretta a precisare: «Non chiamatemi Senatore. Per me e per tutta la famiglia “il” Senatore è il nonno, il fondatore. Il mio nome d’arte è l’Avvocato». Nato a Torino, si è diplomato al liceo D’Azeglio, ha partecipato alla guerra come ufficiale carrista in Russia e Africa occidentale. Appena rientra a casa, il nonno muore e Valletta, manager dal pugno di ferro, è sotto accusa per collaborazionismo. Ma viene reinserito e offre il comando supremo al giovane erede, che rifiuta. Si renderà utile come ambasciatore muovendosi vivacemente tra i circoli mondani, finanziari, politici di tutto il mondo e stabilendo rapporti di amicizia con capi di Stato, banchieri e alti burocrati. Sono anni in apparenza, e anche in sostanza, frivoli ma utilissimi a lungo termine. Nel 1966 Valletta decide che la dorata gavetta è finita e il 30 aprile gli consegna, dice, una Fiat in eccellenti condizioni. Ma non è affatto così. Il miracolo economico è al tramonto, i sindacati fanno richieste sempre più pressanti, la concorrenza straniera erode quote di mercato, le banche tentennano coi prestiti. Sopravviene l’autunno caldo, che durerà per anni col blocco della produzione, scioperi selvaggi, gravi perdite per l’azienda. Il terrorismo rosso si infiltra in fabbrica. L’Avvocato e Lama, capo della Cgil, si stimano e tentano compromessi di vario tipo, che tuttavia non danno grandi risultati. Ma, insieme col nuovo amministratore delegato Romiti, Agnelli non perde di vista quella che oggi chiamiamo globalizzazione. Dopo lo stabilimento in Russia, cerca di acquistare la Citroën in cattive acque, punta sul Brasile e sull’India, infine stringe un accordo con General Motors che si scioglierà dopo la sua morte con vantaggio per la Fiat. Intanto la storica Marcia dei Quarantamila per le vie di Torino, formata dai quadri che chiedono di tornare nella fabbrica picchettata, ribalta il rapporto di forze coi sindacati.
Sono decenni difficili e l’Avvocato, che è stato anche presidente di Confindustria, ha usato le sue doti di conciliatore, consapevole che in queste incessanti tempeste la faccia feroce non è praticabile. Gli offrono più volte una poltrona nel governo, ma Agnelli non ama la politica, si consola coi successi della sua Juve e con la coscienza di essere ammirato, ossequiato e imitato fino al grottesco. Quando allo stadio, una domenica d’inverno, decide di togliersi il cappotto, di colpo l’intera tribuna se lo leva. Sotto il cappotto però l’Avvocato indossa un pullover pesantissimo: il giorno dopo tutta la Torino che conta è a letto con l’influenza. Tutta, tranne lui.