GLAUCO MAGGI, La Stampa 13/9/2010, pagina 22, 13 settembre 2010
La beffa: i fondi con meno spese sono quelli che hanno reso di più - Gli investitori in fondi comuni hanno perso nel primo decennio del secolo una certezza: che la fiducia mista a pazienza predicata dai promotori nella qualità salvifica del lungo termine sia sempre ripagata da un ritorno positivo
La beffa: i fondi con meno spese sono quelli che hanno reso di più - Gli investitori in fondi comuni hanno perso nel primo decennio del secolo una certezza: che la fiducia mista a pazienza predicata dai promotori nella qualità salvifica del lungo termine sia sempre ripagata da un ritorno positivo. Infatti, chi avesse investito in euro nel Dow Jones Italy Titans 30 Index (le blue chips di Piazza Affari) a fine agosto 2000, a fine agosto di quest’anno si sarebbe trovato con una perdita media annualizzata del -5,11%. E se anche avesse puntato sulle 30 migliori azioni americane racchiuse nel Dow Jones Industrial Average di Wall Street, sempre in euro, avrebbe perso sia pure di meno: il -2,33% medio annualizzato. Secondo Morningstar, società che studia le performance dei fondi, lo Standard & Poor’s delle 500 più importanti corporation americane non ha fatto granchè meglio: un investitore in dollari dal dicembre 1999 al dicembre 2009 sarebbe finito sotto dello 0,9% medio annualizzato, uno dei quattro peggiori risultati tra i decenni del secolo scorso. Essendo vero, peraltro, che la media storica dei ritorni dei decenni dal 1900 ad oggi è del +8,1%, non è il caso di buttare a mare i fondi azionari tout court, ma piuttosto di affrontarli con due precauzioni di base, che sono in realtà due constatazioni. La prima è che bisogna rassegnarsi ad allungare il concetto del lungo periodo se si investe nei fondi o negli Etf azionari: essi sono i classici strumenti per investimenti previdenziali, a versamenti periodici, per l’intera vita lavorativa. Se invece l’orizzonte di tempo è solo di qualche anno, o persino di un decennio come i mercati hanno mostrato in questa fase, chi sottoscrive i fondi azionari deve essere consapevole che sta rischiando grosso. Per questo investitore di breve-medio termine valgono, le conosca o meno e le sappia poi applicare o meno, regole-guida che sono sfide difficili: entrare quando i prezzi sono depressi e non sull’onda di performance brillanti; uscire dopo un fortunato periodo di crescita; cercare di individuare le macroaree e/o i settori di sviluppo. Insomma, affrontare il mercato, “speculando” come fanno professionalmente i gestori dei fondi. Gli uni e gli altri, le formiche di una vita senza lo stress dei risultati di breve termine, e gli investitori passivi a pazienza ridotta (che non cambiano portafoglio ma mal sopportano le perdite quando arrivano), oppure quelli dinamici con propensione più alta al rischio, hanno a disposizione, però, una certezza spesso sottovalutata che può compensare in parte quella persa sulle performance a dieci anni. L’ha evidenziata Morningstar, società di analisi del risparmio gestito, studiando l’andamento dell’universo dei fondi Usa alla luce dell’expense ratio, il tasso che comprende tutte le spese per la clientela (commissioni di gestione, di ingresso, di performance ed altre trattenute amministrative). È la percentuale che grava sulle somme investite e che deve essere riportata nei prospetti informativi, una pratica in vigore ormai in tutti i mercati evoluti e trasparenti. «In ogni categoria, fondi azionari Usa e internazionali, fondi bilanciati e fondi obbligazionari - si legge in un recente rapporto della societaà - i fondi appartenenti al quintile dei fondi più a buon mercato quanto a expense ratio hanno prodotto un guadagno netto più elevato di quello prodotto dai fondi più costosi raggruppati nel primo quintile». Chi più spende meno spende, insomma, è un adagio clamorosamente smentito nel caso del costo del servizio venduto dai gestori.