STEFANO LEPRI, La Stampa 13/9/2010, pagina 11, 13 settembre 2010
Dopo la grande crisi la prima riforma vera - Per spiegare perché questo è il pezzo più importante della più importante riforma del dopo-crisi, basta la vicenda della Anglo Irish Bank
Dopo la grande crisi la prima riforma vera - Per spiegare perché questo è il pezzo più importante della più importante riforma del dopo-crisi, basta la vicenda della Anglo Irish Bank. Fino al 2007, questo gruppo multinazionale era stato addirittura lodato per le sue strategie ardite. All’inizio del 2009 il governo irlandese è stato costretto a nazionalizzarlo, e vi ha scoperto una specie di pozzo senza fondo capace di mandare in dissesto l’intero bilancio dello Stato, prima sano. Gli azionisti privati della banca hanno perso tutto, l’ex presidente è perfino finito in galera; ma il capitale azionario e le riserve sono risultati una goccia nel mare dei soldi da restituire. A tutt’oggi, il crack della Anglo Irish è costato a ogni famiglia di contribuenti irlandesi all’incirca il prezzo di una automobile nuova; e non è detto che sia finita lì. Ecco berché bisogna obbligare le banche ad avere più capitale. Proprio perché maneggiano denaro, soprattutto raccogliendolo a breve scadenza e prestandolo a scadenza più lunga, possono perdere molto più denaro di qualsiasi altro tipo di azienda. Fra i possibili rimedi il più paradossale lo ha proposto Jean Peyrelevade, l’economista e banchiere francese che fu messo a presiedere il Crédit Lyonnais dopo il crack del 1993. Secondo lui, le banche non dovrebbero essere più società, azionarie o non, a responsabilità limitata; invece i loro amministratori dovrebbero essere chiamati a rispondere delle eventuali perdite con l’intero loro patrimonio, un po’ come avviene nelle accomandite. Ben lontani da questa utopia, allo scopo di limitare i rischi i governi del G-20 hanno concordato che occorrevano più severe regole sulla quantità del denaro da tenere in cassaforte a garanzia. Da questo impulso nasce Basilea III. Oltre a chiedere più capitale, si chiede più capitale vero, soldi interamente utilizzabili per coprire le perdite. Ciò che nel gergo tecnico si chiama Core Tier 1, a regime arriverà al 7% compreso il «cuscinetto» di sicurezza: molto, molto più del 2% che bastava finora. Il precedente accordo di Basilea II raggiunto nel 2004 con il senno di poi si è rivelato sia debole sia troppo facile da eludere. Chi lo criticava sosteneva che avrebbe reso più difficile il credito alle piccole imprese, mentre il problema grosso era, all’opposto, la mano libera lasciata agli impieghi speculativi. Le autorità americane ne avevano ritardato l’applicazione; comunque Lehman Brothers alla vigilia del fallimento sosteneva di essere in regola. Le decisioni di ieri sono parte di un processo tecnico che lascia ancora in sospeso quali garanzie aggiuntive imporre alle banche too big to fail, troppo grandi per fallire (forse una trentina nel mondo, che crollando causerebbero danni incalcolabili a tutta l’economia). L’obiettivo è portare anche quell’ultimo pezzo al G-20 di Seul in novembre, dove i capi di governo dovranno dare sanzione politica alle nuove regole, in modo che nessuno vi si sottragga. Non è detto che ci si riesca. Si parla di aggiungere un’altra percentuale di Core Tier 1 a quel 7%. Su una novità molto importante per tenere a freno le banche di investimento, il rapporto di liquidità (leverage ratio) c’era già stata una parziale marcia indietro, introduzione solo sperimentale dal 2017. Nel resistere ai nuovi obblighi, in Europa i banchieri erano riusciti ad arruolare a loro appoggio gli industriali, timorosi di una restrizione del credito nella fase di uscita dalla recessione. Il compromesso di ieri, che allunga i tempi fino al 2019-2020, ne è in parte il risultato. All’inizio della crisi in molti paesi si era puntato il dito contro i passati governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, accusati di essere stati succubi degli interessi finanziari di New York e di Londra. Però a combattere a favore di un più lungo periodo transitorio delle norme di Basilea 3 è stata, invece, soprattutto la Germania, dove molte banche deboli sono anche assai vicine al potere politico.