Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 13 Lunedì calendario

LE DUE ANIME (LONTANE) DEL LIDO

Ultima camminata sul tappeto rosso della Mostra, in attesa dell’assegnazione dei premi. Il pubblico che fa da cornice alla passerella cerca solo i suoi eroi: passa la giuria e ha occhi (e cori da stadio) solo per Quentin Tarantino, neanche si trattasse di Cannavaro che alza la Coppa 2006. Il difensore della cinefilia acclamato come una star in un cortocircuito di senso che mescola valori cinematografici e «culto» della personalità.
Per capire che cosa ha funzionato e cosa no in questa edizione della Mostra di Venezia, forse bisogna partire da qui, cominciando dalla trasformazione della cinefilia in tifo, lungo un percorso che rischia di trascinare i suoi sostenitori (e chi li applaude) in un rischioso cul de sac.
Mai come quest’anno è stato evidente che Venezia ha due anime e due pubblici distinti e lontani, incapaci (o messi nell’impossibilità) di comunicare: Concorso e Fuori concorso da una parte, Orizzonti dall’altra formavano due blocchi impenetrabili gli uni agli altri. Per la quantità di titoli proposti, per la scarsità di proiezioni, per l’accavallarsi degli orari (con i «soliti» spiacevoli ritardi), ogni spettatore era costretto a fare delle scelte radicali: da una parte i giornalisti e i critici, convinti che bisognasse privilegiare il concorso, dall’altra i «cinefili» (se questo termine ha ancora un senso) che si identificano sempre più con gli studenti di Dams e affini.
Due Mostre per due pubblici diversi, a cui va aggiunto quello dei «coloristi», coccolati e cercati negli anni passati e quest’anno lasciati a bocca asciutta (poche mondanità, ancor meno star, polemiche quasi assenti, al massimo una gara tra le altezze dei tacchi da sfoggiare).
La forza di festival come Cannes e Berlino è quella di mescolare queste tre componenti, che invece Venezia ha finito — con un calcolo troppo azzardato? — per separare e mettere una contro l’altra. Per tornare all’immagine iniziale, non tutti sono disposti a trasformare Tarantino nel proprio idolo (e ad accettare ogni sua alzata d’ingegno).
Soprattutto non avrebbe dovuto farlo la direzione della Mostra a cui sembra essere sfuggito che permettere a Tarantino di infrangere il regolamento e concentrare i premi su pochi film suona come una sconfessione di chi ha scelto ventiquattro film in gara. Anche perché tutti ricordano che quando lo stesso Tarantino era stato presidente a Cannes aveva rispettato le regole e premiato ben otto film (inventando anche un ex aequo per il premio della giuria).
Nessuno mette in discussione la qualità di molti film presentati, piuttosto viene da riflettere sullo scollamento di queste diverse anime, che il direttore ha anche cercato di esacerbare senza capire che è invece dal loro equilibrio e dalla loro integrazione che può venire nuova forza a un festival che qualcuno vede pericolosamente sul bordo di un precipizio. L’intervento sulle colonne del Messaggero di Riccardo Tozzi, presidente dell’Unione produttori italiani, che ha dichiarato senza mezzi termini come il Lido non possa — per costi, inefficienza e ostilità — ospitare un festival degno di questo nome assomiglia molto a un ultimatum. Che in molti, a cominciare dal Festival di Roma, hanno voglia di far rispettare.
Paolo Mereghetti