Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 13/09/2010, 13 settembre 2010
COME GLI AEREI DELL’IRAQ FINIRONO IN MANI IRANIANE
Come scrive Franco Fracassi nel suo libro «La bomba di Allah», nel 1991, poco prima della guerra del Golfo, Saddam Hussein fece atterrare in Iran la flotta aerea irachena per evitarne l’abbattimento da parte delle forze americane. Come si spiega la mossa di Saddam Hussein di affidarsi (se di questo si trattò) all’Iran per difendere le sue forze aeree, considerando che la guerra Iran-Iraq si era conclusa da soli tre anni? E quali furono le relazioni tra i due Paesi nel periodo tra la prima e la seconda guerra del Golfo?
Matteo Sala
matteo.sala87@yahoo.it
Caro Sala, il trasferimento degli aerei iracheni in Iran cominciò il 25 gennaio 1991, nove giorni dopo l’inizio della grande offensiva lanciata dagli Stati Uniti e dai loro alleati per la liberazione del Kuwait. Alla bordata di bombe e missili lanciati da navi e aerei americani, l’Iraq reagì anzitutto colpendo Israele con missili Scud. Saddam Hussein sperava di trasformare il conflitto in una guerra arabo-israeliana e di mettere così in grave imbarazzo i Paesi musulmani che facevano parte della coalizione americana. Gli aerei iracheni, in quei giorni, erano nascosti in bunker sotterranei apparentemente protetti da una spessa corazza di cemento. Saddam ricordava con quale rapidità gli israeliani avessero distrutto le flotte aeree dell’Egitto e della Siria nel corso di precedenti conflitti medio-orientali, e voleva conservare i suoi aerei per la fase risolutiva della guerra, quando la loro entrata in scena sarebbe stata determinante.
Dovette cambiare idea, tuttavia, quando constatò che gli americani e gli inglesi stavano bombardando i bunker con grosse bombe (circa 900 chili) guidate da laser, e decise di mettere gli aerei al riparo in un Paese vicino. Gli americani se l’aspettavano, ma erano giunti alla conclusione che avrebbe scelto la Giordania (re Hussein, in quel momento, era filo-iracheno) e crearono una sorta di sbarramento nello spazio aereo che collega il territorio iracheno al territorio giordano. Costretto a evitare questa rotta, Saddam scelse l’Iran. Sapeva che gli aerei correvano il rischio di non tornare a casa, ma non aveva scelta e sperò che la solidarietà musulmana avrebbe prevalso sul vecchio rancore degli iraniani per l’Iraq. Fu così che gli aerei iracheni cominciarono a fuggire verso l’Iran. L’esodo durò un paio di settimane e portò al di là della frontiera una eterogenea flottiglia composta prevalentemente da caccia e bombardieri sovietici e francesi: in tutto 115 aerei militari a cui si aggiunsero una trentina di aerei civili.
Non so se il regime degli ayatollah abbia preso in considerazione la possibilità di restituire gli aerei alla fine del conflitto. Ma è certo che quella ipotesi venne definitivamente archiviata quando Saddam, dopo la conclusione dell’armistizio, represse duramente una insurrezione scoppiata nel frattempo in alcune delle regioni prevalentemente sciite del Paese. Di fronte al trattamento patito dai suoi fratelli iracheni, l’Iran sciita non poteva che compiacersi dalla punizione inflitta all’odiato uomo di Bagdad. Gli aerei, quindi, restarono in Iran e andarono a rafforzare gli effettivi dell’aeronautica iraniana. Accadde così quello che sarebbe accaduto su scala maggiore, dodici anni dopo, durante la seconda guerra del Golfo. Quando colpiscono l’Iraq gli americani fanno un favore all’Iran. Quando denunciano la pericolosità del regime iraniano, gli Stati Uniti dovrebbero rimproverare anzitutto se stessi.
Sergio Romano