Sergio Rizzo, Corriere della Sera 13/09/2010, 13 settembre 2010
GUERRA APERTA AI «MASCALZONI » MA SI DIMENTICA LA CORRUZIONE
«Espulsione» è una parola che raramente si pronuncia nei partiti italiani. E quando si pronuncia ancora più raramente la cacciata di un iscritto ha a che vedere con questioni di moralità, lo spettro che ha evocato ieri ad Atreju, la festa dei giovani di destra, proprio il ministro dei giovani Giorgia Meloni, scatenando il battimani della platea e anche del premier Silvio Berlusconi. Il quale, quasi a voler smentire chi aveva interpretato il suo applauso come un gesto di circostanza, ha poi detto queste frasi riportate dall’agenzia Ansa: «I giornali della sinistra hanno parlato di una nuova Tangentopoli. Voglio dire che nel nostro partito non ci sono mascalzoni. Li abbiamo tutti individuati ed espulsi». Proprio così: espulsi. Un’affermazione che forse meriterebbe qualche dettaglio in più. Anche perché le espulsioni dal partito di Berlusconi di cui si ha avuto una certa eco hanno avuto motivazioni soltanto politiche. Ricordiamone alcune. All’ex coordinatore provinciale di Forza Italia a Benevento, Antonio Barbieri, è successo nel 2009 dopo che aveva accettato la carica di vicepresidente della Provincia, guidata dal centrosinistra. A Pietro Fazzi, che aveva strappato il Comune di Lucca all’Ulivo, è capitato nel 2005 in seguito alle accuse di interferenze in alcune nomine mosse dal sindaco forzista al presidente del Senato Marcello Pera. Francesco Musotto è invece incappato nelle ire del partito di Berlusconi nel 2001 per la sua decisione di candidarsi a Palermo contro il volere del gruppo dirigente. Ma se è vero che il leader del Popolo della libertà ha dichiarato guerra senza quartiere ai «mascalzoni», arrivando alla misura draconiana dell’espulsione, a maggior ragione non si capiscono alcune cose. Perché il disegno di legge sulla corruzione che era stato approvato in pompa magna il primo marzo dal consiglio dei Ministri giace da sei mesi in un cassetto del Senato? Finora sono state fatte quattro riunioni in commissione e nulla più. Per la fine di settembre sono attesi gli emendamenti: poi si vedrà. Da questo atteggiamento purtroppo già si capisce che l’argomento della lotta alla corruzione è scivolato tristemente in fondo all’agenda. A conferma di ciò, fra i cinque punti programmatici che dovrebbero rilanciare l’attività di governo dopo lo strappo di Gianfranco Fini questo manca. Eppure in un Paese dove la corruzione pesa sulle tasche dei cittadini per 60 miliardi di euro l’anno (stima della Corte dei conti), non dovrebbe forse essere al primo posto?
Sergio Rizzo