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 2010  settembre 13 Lunedì calendario

IL MIGLIOR RISTORANTE D’ITALIA? ALL’OSPEDALE

Un povero cristo che fini­sce in ospedale ha due priori­tà: essere curato al meglio e ve­nire dimesso il più presto pos­sibile. Tutto il resto è accesso­rio. Compresa la qualità dela cucina che - nei nosocomi - ri­corda spesso la «sbobba» della naia. Questo non vuol dire che bontà di pranzo e cena in cor­sia non incidano sull’umore ( e perché no, sui tempi di guari­gione) del degente, anzi esatta­mente il contrario. Ma atten­zione a farsi prendere la mano con la ristorazione hospedally­correct a base di «cibi biologi­ci », «alimenti a chilometri ze­ro », «piatti del territorio», «pro­dotti naturali»: insomma tutto quel minestrone radical chic che fa dell’ideologia Slow Fo­od - più che altro - un grande business. Spesso indigesto.
Anche per questo motivo ri­sulta singolare come un ospe­dale d’eccellenza come il Car­dinal Massaia di Asti finisca sui giornali per una prerogati­va più da ristorante che da no­socomio: il menu. Perché se da una parte è sicuramente ve­ro che «quando c’è la salute, c’è tutto», è altrettanto vero che-quando lasalute non c’è­anche l’appetito tende a scar­seggiare. Non così però al Car­dinal Massaia dove i camici bianchi degli chef non meno importanti di quelli dei medi­ci. L’effetto di questa strategi­ca filosofia - a metà strada tra cura sanitaria e coccole gastro­nomiche - è un titolo che met­te l’acquolina in bocca: «Il mi­glior ristorante d’Italia? Si tro­va in ospedale». Parola di Slow Food e Coldiretti, con tanto di sigillo dell’Asl. Roba che ver­rebbe voglia di ricoverarsi (possibilmente per una scioc­chezza, magari una semplice contusione), pur di gustare le delicatessen del Cardinal Mas­saia. Un servizio da 1600 «co­perti » al giorno, aperto 365 giorni all’anno, con i pazienti che non pagano un euro e in più fanno quotidianamente i complimenti al cuoco. Possibi­le? Sì, se siete «clienti» della «mensa» (ma mai termine fu più riduttivo) del Cardinal Massaia. Una cittadella che ­oltre a 213 ambulatori e 153 studi medici - può vantare an­che un primato da leccarsi i baffi: la bio-dispensa più lucul­liana del mondo sanitario. In­somma, roba da resuscitare i morti (complimento che, per un ospedale, è effettivamente il massimo...).
«Nel Paese del boom di spe­sa per i farmaci - si legge sul mensile di economia sociale, Valori - , esistono esempi vir­t­uosi di medici e strutture sani­tarie che a pillole, flebo iniezio­ni e lunghe degenze preferisco­no carne sceltissime, verdure e latte biologici, pasta trafilata al bronzo. L’esperimento del Cardinal Massaia di Asti ha provato che mangiar bene fa star meglio i pazienti e fa ri­sparmiare la sanità pubblica». I dietologi e i dirigenti del noso­comio astigiano hanno fatto una scelta controcorrente, for­se anche troppo: nutrire i pa­zienti con i migliori prodotti della ristorazione cosiddetta slow food. I pazienti mostrano di gradire, anche se poi confes­sano: «Ma la cucina di casa no­stra resta sempre la miglio­re... ».
Racconta il direttore genera­le dell’istituto, Luigi Robino: «Abbiamo notato che nei pri­mi giorni di degenza, i ricovera­ti mangiavano poco perché il cibo non era buono. Ciò peg­giorava le loro condizioni fisi­che in un momento già di per sé difficile e allungava i tempi di degenza. La gente stava peg­gio, rimaneva più tempo in ospedale e, quindi, costava di più. La cucina deve invece es­sere al top, avere buon gusto e ottime caratteristiche energe­tiche per rispondere alle esi­genze cliniche ».Di qui l’accor­do a tre fra Asl, Coldiretti e Slow Food per far arrivare sui tavoli del «ristorante» Cardi­nal Massaia il meglio della ri­storazione biologica applicata ai centri di cura. E tutto ciò «so­lo s­pendendo un euro in più ri­spetto ai costi affrontati media­mente dagli ospedali italiani (che però utilizzano spesso e volentieri cibi surgelati)». Un modello che ora viene studia­to da tantissime aziende ospe­daliere nazionali e straniere «persuase ormai che puntare sui piatti tipici del territorio comporti un miglioramento nella qualità della cura nei ri­guardi del paziente e un note­vole risparmio sui costi di de­genza ». Ma sarà vero? In attesa di vedere i conti, auguriamo buon appetito.