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 2010  settembre 13 Lunedì calendario

«HO 60 ANNI: MEGLIO PADRE CHE ROCKSTAR» - «È

finita». Phil Collins cam­bia mestiere: basta rockstar, di­venta pater familias a tempo pieno. E lo annuncia, lui sem­pre low profile, in una stanzet­ta grigia con vista sul Lago di Ginevra che idealmente riflet­te una carriera stellare. Con Mi­chael Jackson e Paul McCart­ney, Phil Collins è l’unico arti­sta che abbia venduto almeno cento milioni di copie sia con una band (per lui i Genesis) che da solista. Più otto Gram­my Awards e un Oscar. Adesso basta. Come Tina Turner, co­me Cher, stacca la corrente. E dopo il nuovo (e splendido) cd di soul Going back , Philip Da­vid Charles Collins, nato a sud di Londra nel 1951, crescerà i figli Matthew e Nicholas, cin­que e nove anni, nel villone che fu di Jackie Stewart in riva al lago. Fine. «Ora voglio sve­gliarmi al mattino e poter deci­dere cosa fare invece di essere obbligato ad andare a Parigi o chissà dove». Oddio, lo dice da anni: signori, fare la rockstar è bello ma grazie e arrivederci. Poi ci ripensa. Stavolta no. E, attenzione, guai a fargli cam­biare idea.
Ma scusi, Phil Collins, milio­ni di fan la manderanno al diavolo.
«Lo so, la gente mi dirà: per­ché fermarti ora quando puoi ancora andare avanti?».
Però l’ha già ripetuto più volte.
«Diciamo che io sono come un diesel: fatico a far partire le mie decisioni ma poi non mi fermo più. Penso di aver fatto tutto quello che dovevo, come musicista».
Quindi rimane il resto.
«Rimane che ho due figli pic­coli, che anche stamattina ho accompagnato a scuola. Con i miei primi tre (Simon, Lily e Jo­ely - ndr) non l’avevo mai fat­to. E non mi ero neanche reso conto di quale dolore stessi provocando loro. Ora con Mat­thew e Nicholas voglio fare il papà e basta».
Quand’era piccolo suo pa­dre l’accompagnava a scuo­la?
«Ho avuto un’infanzia feli­ce, mio papà era un abitudina­rio, usciva di casa e tornava sempre alle stesse ore».
Quindi non riscatta un trau­ma adolescenziale.
«No, la mia è un’esigenza che non ha radici psicanaliti­che. È successo che, quando è nato Nicholas, ho iniziato a fa­re con lui ciò che avrei sempre dovuto fare. E ho scoperto che ero finalmente felice».
Quindi fine anche dei con­certi e delle tournèe?
«Se il cd Going back (dedica­to a molti classici della Mo­town- ndr) venderà particolar­mente bene, magari terrò qual­che concerto. Ma niente più. Sul palco mi diverto e mi pia­ce. Ma quando sono in giro, mi rendo conto che tutto ciò mi tiene lontano dai miei figli».
Ma se ne è accorto dopo ben quarant’anni di musica?
«Ho lasciato la scuola e a di­ciannove anni sono entrato nei Genesis. Da allora non ho fatto altro. Mia moglie mi tele­fonava per dirmi: “Che bello, tu stasera vai a un party a Chi­cago. Io invece sono a casa con i bambini”.Una sensazione or­ribile ».
Si dirà che lei si ritira anche per i guai all’udito e alle ma­ni.
«Un’infezione ha danneggia­to il timpano destro e proble­mi nevralgici, per i quali ho già subito un intervento al collo e presto ne subirò un altro, mi hanno anche tolto la sensibili­tà della punta delle dita. Quat­tro mesi fa il medico mi ha det­to: in un anno la recupererai tutta. Ma questi problemi so­no arrivati dopo la decisione di fermarmi».
Allora può fare un bilancio della sua carriera.
«Il momento più bello è sta­to suonare la batteria nella tournèe con Eric Clapton del 1986. E poi il Live Aid. O la mia big band degli anni Novanta. O la prima volta che sono anda­to al primo posto in classifica».
Scusi: e i Genesis, la band grazie alla quale è diventa­to famosissimo?
«Con loro ho trascorso tan­tissimi anni, ecco».
E il peggior momento?
«La campagna diffamatoria dei tabloid inglesi durante il mio secondo divorzio intorno al 1995. Si inventarono tutto e io ne soffrii molto».
Adesso lascia: e per l’addio ha scelto di registrare un di­sco di canzoni soul per lo più degli anni Sessanta.
«Erano quelle che ascoltava mia mamma quand’era nel cu­cinino di casa. E io le ho volute riproporre identiche».
Allora si scopre che il filo conduttore di una delle rockstar più famose di sem­pr­e non è la musica ma la fa­miglia.
«E infatti garantisco che se ora, anche se ho quasi ses­sant’anni, avessi tutti i miei fi­gli cresciuti e realizzati, conti­nuerei a fare quello che ho sempre fatto: il musicista».