Michele Martone, Il Sole 24 Ore 11/9/2010, 11 settembre 2010
LA MOSSA DI FEDERMECCANICA PER PUNTARE SULLA PRODUTTIVITÀ
Se, per l’attuale sistema di relazioni industriali, la sottoscrizione dell’accordo separato di Pomigliano ha rappresentato una forte scossa sismica, la decisione di Federmeccanica di recedere dal contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, quello sottoscritto anche dalla Fiom il 20 gennaio 2008, rappresenta un vero e proprio terremoto.
Un terremoto di cui è difficile valutare gli esiti ma che ci lascia con la certezza che, d’ora in poi, il nostro sistema di relazioni industriali non sarà più lo stesso. Perché oramai la faglia sismica che divide il mondo sindacale si è allargata troppo ma soprattutto perché, in quasi tutti gli attori sociali, è maturata la convinzione che non si può affrontare la competizione globale con un sistema di relazioni industriali costruito a misura dell’economia novecentesca. Lo pensano la Fiat, Federmeccanica e più in generale la Confindustria e lo pensano la Cisl, la Uil, l’Ugl e tutti gli altri sindacati che sono intenzionati ad andare avanti,con l’unica rilevante eccezione della Cgil, ancora drammaticamente schiacciata sulle posizioni della Fiom.
Ora, le crisi, come le separazioni, nel momento in cui si consumano sono sempre drammatiche, ma spesso si trasformano in straordinarie opportunità di crescita perché sono l’occasione per ricominciare a costruire. Ed è per questo che la linea dettata dalla Fiom alla Cgil rischia di rivelarsi perdente. Si arrocca nella difesa di un mondo, o meglio di un sistema di relazioni industriali, che non funziona più perché non riesce a dare risposta alle grandi sfide che abbiamo di fronte, quella della produttività e quella della disoccupazione giovanile. È, infatti, inutile girarci intorno. Il vero problema dell’economia italiana è la scarsa produttività delle sue aziende che, come dimostrano i dati Istat, è praticamente ferma da dieci anni ed anzi quest’anno decresce del 2,7%. Se la produttività diminuisce, il paese si impoverisce, perché vengono a mancare le risorse, in termini di tasse e contributi, che servono a pagare il co-sto dei diritti, e la disoccupazione aumenta perché le imprese emigrano all’estero.
Come suggerito da più parti, per contrastare questo crollo della produttività e ricominciare a creare sviluppo e quindi occupazione, gli imprenditori devono trovare il coraggio di fare gli investimenti necessari a migliorare i processi produttivi e i lavoratori devono avere la capacità di rinunciare ad alcune tutele, come ad esempio alla rigidità di alcuni orari di lavoro, al fine di assicurare la migliore produttività degli impianti. Ma serve anche un sistema di regole che consenta agli uni e agli altri di raggiungere un accordo e di far sì che quell’accordo sia efficace. Ed è questa la ragione per cui tutti i sindacati, con l’unica eccezione della Fiom, hanno posto le basi per un nuovo sistema di relazioni industriali condividendo, sia in occasione del protocollo del 23 gennaio 2009 che in quella della sottoscrizione del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici del 15 ottobre 2009, il principio in base al quale il contratto collettivo aziendale può derogare ad alcune delle tutele previste da quello nazionale. Per risolvere crisi occupazionali, aumentare la produttività, attrarre nuovi investimenti, aumentare l’occupazione anzitutto giovanile, i sindacati sono disponibili a mettere in discussione alcuni dei diritti previsti dal contratto collettivo nazionale.
Il problema, però, è che, nel sistema di relazioni industriali fordista che la Fiom continua a considerare tabù, ciò può non bastare. Perché, come dimostra l’esperienza di Pomigliano, se anche gli imprenditori sono disponibili a fare nuovi investimenti e ad aumentare l’occupazione e i lavoratori ad affrontare quei sacrifici, basta il veto di un solo sindacato per far fallire l’accordo. Nonostante gli accordi sottoscritti nel 2009 e seppure, come è accaduto a Pomigliano, la maggioranza dei lavoratori si dichiara favorevole alla sottoscrizione del contratto collettivo aziendale che deroga al contratto collettivo nazionale, quel sistema continua infatti a reggersi sull’unanimismo sindacale e consente alla Fiom di comprometterne l’efficacia con scioperi, contenziosi seriali e altre azioni di lotta, per il semplice fatto che ha sottoscritto il contratto collettivo nazionale del 20 gennaio 2008.
In altri termini, consente alla Fiom di trascinare le aziende metalmeccaniche in un vero e proprio Vietnam sindacale che rischia di impantanarle proprio nel momento in cui con gli altri sindacati hanno posto le basi per correre più veloci sul mercato globale.
Per questo la Fiat, dopo aver registrato il fallimento del tentativo di migliorare la produttività dello stabilimento di Pomigliano grazie agli strumenti previsti dall’attuale sistema di relazioni industriali, ha minacciato di uscire da quel sistema e lasciare Federmeccanica. Per le stesse ragioni la Federmeccanica ha deciso di recedere dal contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici per sottoscrivere con la Cisl, la Uil e tutti gli altri sindacati un nuovo contratto collettivo che non esponga le aziende alla guerriglia sindacale della Fiom. Per questo è auspicabile che, dopo il terremoto di questi giorni, la Cgil si liberi dalla morsa della Fiom e trovi il coraggio di partecipare alla difficile ma indispensabile costruzione di un nuovo sistema di relazioni industriali.
Perché la democrazia, anche quella industriale, dovrebbe basarsi sul principio della maggioranza e quindi ci impone di non cedere al veto delle minoranze ma soprattutto perché non potremo mai competere nell’economia globale se continueremo a farci paralizzare dalle proteste di quanti continuano a guardare al futuro con le lenti del novecento.