Roberto Coaloa, http://coaloalab.splinder.com/post/17284264, 12 settembre 2010
Biografia di Urbano Rattazzi
Urbano Rattazzi, con Garibaldi e Mazzini e ovviamente Cavour e Vittorio Emanuele II, è uno dei protagonisti del Risorgimento. Rattazzi è stato uno dei principali statisti italiani, un costruttore dell’Unità: a lui si devono le istituzioni e l’amministrazione dello Stato, e, prima del 1861, il codice di procedura civile del Regno di Sardegna e la legge di annessione della Lombardia. Rattazzi è anche ricordato per la legge di soppressione delle corporazioni religiose. Domani, ad Alessandria, città natale di Rattazzi, si inaugurerà un importante convegno sulla sua figura: "L’altro Piemonte e l’Italia nell’età di Urbano Rattazzi (1808-1873)". Il sottoscritto, insieme ad altri storici, da anni è impegnato nello studio di questa importante classe politica del Risorgimento: oltre a Rattazzi occorre ricordare Giovanni Lanza, Filippo Mellana, Quintino Sella, solo per citare i primi che mi vengono alla mente. Recentemente ho ricordato in un convegno torinese la figura di Giovanni Lanza, che aveva iniziato la sua carriera parlamentare al centro-sinistra e poi aveva seguito Urbano Rattazzi nel "connubio" con Cavour. Lanza era poi diventato uno dei capi della Destra. Non era un uomo politico raffinato e colto come Urbano Rattazzi, ma a differenza di quest’ultimo, Lanza sapeva attorniarsi di uomini assai migliori e più affidabili di quelli che avevano costituito l’entourage di Rattazzi. Giovanni Giolitti lo definì con molta precisione il «tipo perfetto dell’uomo di buon senso». Urbano Rattazzi, tuttavia, rispetto a Lanza, gode di maggior prestigio, soprattutto per il ruolo d’avanguardia giocato nel 1848. Il 23 marzo 1849, dopo il disastro militare di Novara, Rattazzi perdette il suo dicastero. Egli assunse, quindi, un atteggiamento più moderato rispetto all’opposizione della sinistra pura e fondò un partito che battezzò “centro-sinistra”. Questa politica, incontrandosi con quella di Cavour, portò al “connubio” (4 febbraio 1852), con cui i due uomini politici si unirono in un fronte comune contro la destra: era, in tal modo, sanzionato quello che si poteva definire il risultato più importante del biennio rivoluzionario 1848-1849, in pratica l’eliminazione dei vecchi ceti privilegiati e l’ascesa a nuova classe dirigente della borghesia. Rattazzi diventa tra il 1848 e il 1852 l’uomo più in vista della Camera, con Cavour e D’Azeglio. I deputati lo elessero vicepresidente e, morto il presidente Pinelli, l’11 maggio 1852, lo nominarono presidente della Camera. Nel 1853, Rattazzi diventa ministro di Grazia e giustizia con Cavour. Rattazzi come ministro dell’Interno dette il suo nome alla legge più discussa e più importante di quel periodo: la legge delle corporazioni religiose, presentata alla camera nel novembre 1854. L’incameramento dei beni ecclesiastici era soprattutto uno sgravio enorme per il bilancio dello Stato e Rattazzi lo aveva ben compreso, da quell’ottimo amministratore che era. La sua legge ebbe il plauso di tutti, fuorché, ovviamente, dei clericali. Rattazzi assicurò anche il successo di un’altra legge, con la quale si proibiva al clero ogni atto contrario alle istituzioni dello Stato. Riuscì poi a far votare anche la legge del 29 marzo 1855 contro i beni ecclesiastici. Nel 1858, Rattazzi uscì dal governo Cavour. La sua posizione nel governo si era indebolita nei mesi precedenti: dopo il tentativo insurrezionale mazziniano a Genova (giugno 1857) che egli non riuscì a impedire, e dopo il successo dei clericali nelle elezioni del novembre 1857. Cavour, inoltre, doveva subire le continue pressioni di Napoleone III che voleva indurlo a restringere le libertà pubbliche. Le resistenze che Cavour opponeva, non parvero a Rattazzi sufficientemente energiche: il deputato di Alessandria sciolse così l’alleanza che durava ormai da diversi anni; l’opposizione di sinistra ritrovò il suo capo. Rattazzi fu rieletto alla presidenza della Camera nel 1859. Dopo la pace di Villafranca, Cavour si dimise, e Vittorio Emanuele II chiamò lui e Lamarmora per formare il nuovo governo, il 19 luglio 1859. Rattazzi è il leader e approfitta dei pieni poteri, già votati per la guerra, per emanare leggi che definiscono tutta la pubblica amministrazione dello stato nazionale nascente. Rattazzi ridisegna i confini amministrativi del Regno di Sardegna, senza il bisogno di passare per la Camera (Regio Decreto 3702 del 23 ottobre 1859, detto Decreto Rattazzi). Rattazzi, il 18 febbraio 1861, diventa primo Presidente della Camera dopo l’Unità d’Italia, capeggiando l’opposizione parlamentare a Ricasoli, divenuto presidente del consiglio dopo la morte di Cavour. Nel Regno d’Italia, Rattazzi diventa presidente del Consiglio il 3 marzo 1862. Il momento è delicato: i garibaldini vogliono conquistare Roma. Il governo sotto la minaccia francese li ferma ad Aspromonte, dove Garibaldi è ferito. Lo scandalo è grande e Rattazzi diventa il capro espiatorio dell’intricata situazione. Ritenuto connivente e poi ostile rispetto ai moti garibaldini repressi, Rattazzi è costretto a dimettersi. Emerge, con l’episodio di Aspromonte, la difficoltà di Rattazzi di valutare e usare le persone. Con personaggi come Garibaldi e Napoleone III occorreva ancora un Cavour… L’idea di poter giocare nello stesso tempo una partita a scacchi con Garibaldi e compagni e con l’ambizioso imperatore dei francesi, sembra denotare una difficoltà a capire sia la logica dei rivoluzionari veri ed attivi, sia la ragion di stato in un quadro internazionale. Questo episodio richiama alla mente anche il complesso rapporto con il re, al tempo stesso fedele e compiacente. Adolfo Omodeo ha notato: «Naturalmente, tutta la compiacenza del Rattazzi per il re non gli procurò la minima gratitudine. Veniva chiamato dal re Lord Siratût (Guastamestieri). (…) Dopo Mentana, il re andò dichiarando che per conto suo era disposto a far arrestare il Rattazzi. L’avvocato d’Alessandria non aveva capito quello che era stato il segreto dei grandi ufficiali (ultimo il Cavour) di casa Savoia: che il re andava servito anche malgré le roi, non con la supina condiscendenza». Il 3 febbraio 1863, Rattazzi sposa la trentaduenne Maria Letizia Bonaparte Wyse, figlia di Sir Thomas, diplomatico e parlamentare, e di Letizia Bonaparte. Nel 1867, Rattazzi è nuovamente presidente del Consiglio. In questo periodo, Rattazzi ha il merito di far ammettere il Regno d’Italia alla conferenza di Londra per la questione del Lussemburgo, e di condurre in porto un trattato con l’Austria. Si ripresenta, però, a Rattazzi, nuovamente lo smanioso Garibaldi. Nonostante la volontà di annettere Roma al nuovo Regno d’Italia, Rattazzi deve rallentare il processo di unificazione, per non creare un disastro diplomatico e provocare intricati problemi al nuovo Stato. Rattazzi deve arrestare Garibaldi, il 23 settembre 1867, e si dimette. A Mentana si ripetono – con alcune piccole varianti (questa volta sono le truppe francesi a sbaragliare i garibaldini) – l’episodio e le conseguenze di Aspromonte. Il destino di Rattazzi è atroce; molto strano. Rattazzi fu un grande uomo politico orientato verso sinistra, che, tuttavia, non esitò, in occasioni cruciali, a comportarsi come egli credeva più opportuno per non compromettere il recente e ancor fragile Stato italiano. Lo statista piemontese morì nella sua villa di Frosinone il 5 giugno 1873. Urbano Rattazzi, nato ad Alessandria il 30 giugno 1808, fu quindi un uomo molto differente da Giovanni Lanza. Certo, entrambi parteciparono al Congresso agrario del 1847, ospitando i delegati nelle loro dimore monferrine, ma l’unico tratto che lega i due è la comune formazione nell’antica capitale del Monferrato. Casale è fondamentale per la futura vocazione politica di Rattazzi. Da Torino, il giovane avvocato, sceglie Casale, quando nel 1838 Carlo Alberto vi riporta il Senato. Rattazzi, nonostante la carriera ben avviata a Torino, vuole costruire il suo “capitale sociale” per mezzo dei notabili di quella forte classe politica che la recente storiografia ha definito dell’Altro Piemonte. L’élite dell’Altro Piemonte era costituita a Casale dall’avvocato Filippo Mellana, dal medico Giovanni Lanza e dall’avvocato Carlo Cadorna di Pallanza. A loro possiamo aggiungere Pier Dionigi Pinelli, Luigi Leardi e, non per ultimo, Rattazzi. Egli condivideva con loro il modo di pensare e le aspirazioni. Chi scrive ha condiviso un’ampia ricerca su questo periodo di formazione del “giovane Rattazzi” con il professore Giorgio La Rosa. Scambiando letture e osservazioni è venuto alla luce un profilo inedito di Rattazzi e del suo noviziato culturale a Casale. A questo proposito, dobbiamo un’informazione rilevante ad Alessandro Borella, “nemico” degli avvocati nel Parlamento subalpino che scrive, a proposito di Rattazzi e di Pinelli: «Non so se per tornagusto o per interesse (attesoché alla Corte d’appello di Casale erano avocate le cause della Lomellina e del Novarese, ossa polpose da esercitarvi il dente), entrambi si erano dati alla materia civile. Fra essi vi fu però questa differenza, che nel 1847 Urbano Rattazzi s’era già guadagnato con il suo lavoro un discreto patrimonio; Pinelli no». A parte un legittimo desiderio di profitto, la scelta di Rattazzi risulterà più chiara se si considera il fatto che molti proprietari fondiari dell’Altro Piemonte, soprattutto della Lomellina e dell’Oltrepò, avevano vasti terreni nel Regno Lombardo-Veneto, ossia oltre il confine del Regno di Sardegna. Abbiamo dunque un intreccio politico-professionale tra gli interessi immediati dei «numerosi clienti» del futuro statista e le loro più ampie aspirazioni a sconfiggere l’austriacante immobilismo della nobiltà torinese. Angelo Brofferio notò: «nessuno propugnò in Parlamento con maggiore impegno di Urbano Rattazzi la causa Lombarda». Un esempio dell’inscindibilità per Rattazzi tra l’impegno politico e i legami sociali con l’Altro Piemonte è dato dalla coincidenza temporale di due lettere di diversissimo tenore. Tali lettere inedite sono state rintracciate dal sottoscritto nell’Archivio storico di Casale. Dopo la ripresa delle ostilità con gli austriaci, lo statista, Ministro dell’Interno nel gabinetto Chiodo e vera magna pars della politica governativa, il 21 marzo 1849, ossia due giorni prima del disastro di Novara scriveva formalmente all’onorevole avvocato Filippo Mellana, dichiarando che gli Intendenti delle divisioni di Novara e di Vercelli erano a sua disposizione per aiutarlo nella delicata missione affidatagli: convincere i cittadini più facoltosi dell’area a fare versamenti volontari per sostenere la guerra. Nello stesso giorno, Rattazzi, non più nella sua veste di Ministro, ma in quella di legale di strettissima fiducia, trovava il tempo di scrivere alla contessa Clara Leardi di Terzo, circa questioni legate al testamento suo e del figlio Luigi, morto da un anno. Luigi Leardi fu un grande esponente della filantropia piemontese, tipica dell’Ottocento. Leardi riuscì a gettare le basi per la diffusione di un sistema pedagogico sull’eredità spirituale del cugino Carlo Vidua, del quale poté studiare più di chiunque altro gli scritti e i materiali superstiti. Leardi decise di mettere in pratica i progetti del cugino (morto nel 1830) e sull’esempio di personalità come Aporti e Boncompagni, tali influenze permisero la realizzazione a Casale Monferrato del primo istituto tecnico d’Italia (1858), grazie soprattutto all’impegno generoso di sua madre (morta nel 1854), che, insieme a Rattazzi e Lanza, completò in maniera decisiva il progetto di Luigi Leardi e i desideri di Carlo Vidua. FOTO: Urbano Rattazzi con Maria Letizia Bonaparte Wyse, il giorno delle nozze 3 febraio 1863