Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 11/9, 11 settembre 2010
PADANIA O ROMA NEL FUTURO DELLA LEGA
Una caratteristica dei politici abili è quella di presentarsi sempre come i vincitori delle loro battaglie. O meglio, di apparire tali anche quando non lo sono. Umberto Bossi è di sicuro un politico abile e anche quest’anno è arrivato alle pendici del Monviso con il tono del vincitore. Certo, quei cartelli che invocano «elezioni subito» sono un po’ in ritardo sulle circostanze della politica, visto che le urne sono rinviate, ma in fondo non è così importante.
Secondo la logica del capo, la Lega è riuscita a distinguere la sua posizione, si è fatta valere e alla fine ha ceduto a Berlusconi, non senza ricavarne qualche vantaggio, in quanto «è lui il presidente e quello che decide a noi va bene». Il bagaglio elettorale del partito non è minacciato, la raccolta del consenso può aspettare. Bilancio positivo.
Detto questo, la Lega del 2010 è un partito complesso. I vecchi rituali pseudo-celtici avevano un tempo una loro gioiosa ingenuità, oggi assomigliano a un manierismo che nasconde le ambizioni, ma anche le difficoltà di un movimento maturo e strutturato, chiamato a conciliare interessi corposi e a nascondere le sue contraddizioni. Ha scritto acutamente Luca Ricolfi sulla «Stampa» che tanti indizi dimostrano come la Lega di oggi si stia avviando a essere un partito come gli altri. Al punto da piegare forse anche l’ideale del fatidico federalismo alle esigenze di un ceto politico ramificato e depositario di crescenti quote di potere.
Senza dubbio Bossi è sempre stato un realista, non un mero sognatore. Un realista che con una mano agita la bandiera politica (appunto il federalismo) e con l’altra si preoccupa di sistemare uomini e cose, sulla base di un principio empirico ma incontestabile: senza i voti, e senza il potere che produce i voti, non si va lontano. Il punto è che oggi il Carroccio è giunto a un passaggio cruciale. Anzi, a un doppio passaggio cruciale. Da un lato c’è da immaginare il ruolo della Lega nei prossimi anni, quando sarà conclusa la stagione di Berlusconi. Dall’altro c’è da affrontare il problema del federalismo «concreto»: non quello un po’ mitico sempre annunciato come la terra promessa, bensì quello reale che emergerà - se emergerà - dai prossimi decreti delegati.
Se si fosse andati a votare, la questione era risolta. Il federalismo sarebbe tornato a essere un vessillo da sventolare, una promessa per il futuro. Ora invece ci sono i decreti da definire e almeno in parte da attuare. C’è da spiegare il mistero di fondo: come si riuscirà nel miracolo di rendere più efficiente la spesa complessiva delle amministrazioni, così da ridurla e non come molti temono d’aumentarla. Ci sarà da spiegare come si bilancerà il federalismo «virtuoso» del Nord con quello «dissipatore» del Sud. E non sarà un caso se il ministro Tremonti ha detto ieri che nel Mezzogiorno quello che serve prima di tutto è restaurare l’autorità dello Stato e della legge.
Tutto questo induce a interrogarsi sulla Lega del futuro. Cosa vuole esattamente Bossi? Rafforzare il grande presidio settentrionale, dove il Carroccio è in grado di gestire percentuali di consenso impressionanti, anche del 30 o del 35 per cento, dimenticando il resto del paese? O insistere nella proiezione verso il centro, delineando un’ambizione nazionale che andrà precisata nei suoi contorni? E’ un bivio decisivo, perchè da esso discende la funzione politica che i leghisti svolgeranno nel prossimo futuro, quando si tratterà d’interpretare nuovi equilibri, con nuovi protagonisti.
Ma c’è dell’altro. Nell’immediato la predicazione federalista dovrà andare di pari passo con l’attenzione verso il Sud che l’alleato Berlusconi sta già manifestando in vista delle elezioni. Per Il Pdl, destinato a perdere voti in favore della Lega nel Nord, recuperare consensi a sud di Roma è essenziale. Ad esempio, la tregua con il siciliano Lombardo richiede patti chiari. E risalire la china elettorale implica quasi sempre scelte onerose. Non è facile immaginare un’alleanza in cui l’anima settentrionale del partito federalista deve andare d’accordo con le esigenze di chi non può perdere le radici sudiste. Occorre una grande capacità di sintesi nazionale per riuscirci. E questo non è certo il compito di Bossi, ma dipende da lui assecondare lo sforzo cui sarà obbligato Berlusconi nei prossimi mesi.
Sotto il Monviso la Lega celebra se stessa attraverso collaudati moduli retorici. Ma questa volta è proprio il successo di un partito in ascesa inarrestabile a rendere tutto più difficile. La vecchia intesa con il Pdl è ancora un abito necessario, ma in futuro potrebbe essere insufficiente.