Pierluigi Magnaschi, ItaliaOggi 11/9/2010, 11 settembre 2010
UNO CHE FA IL SUO DOVERE VUOLE FARSI AMMAZZARE
Interpellato da Giovanni Minoli, sul perché sia stato ucciso Giorgio Ambrosoli, l’avvocato liquidatore dell’impero Sindona, Giulio Andreotti, ha detto testualmente: «Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che, in termini romaneschi, se l’andava cercando». Ambrosoli è stato assassinato l’11 luglio 1979 da Josep Arico, un killer pagato da Michele Sindona. La dichiarazione allucinante, inaccettabile, disgustosa, incredibile di Giulio Andreotti lascia annichiliti nella sua sconvolgente amoralità. Vista l’età di chi l’ha fatta, si potrebbe pensare che sia stata dettata da una malattia senile. Sarebbe, questa, una provvidenziale giustificazione. Pur non disponendo della cartella clinica di Andreotti, sono però legittimato a credere che la malattia senile non c’entri per niente e che invece, purtroppo, quest’affermazione faccia parte di un costante atteggiamento di copertura nei confronti di Sindona che Andreotti ha sempre espresso. In un paese normale (dove la cariche si ottengono, se le si meritano, e si perdono se non se ne è più degni) Andreotti dovrebbe essere costretto a dimettersi dalla carica di senatore a vita perché non ne è più degno. Ma, come la carica di presidente della camera dura una legislatura, per cui chi l’ha ottenuta, in base alle norme vigenti (stupide, ma vigenti) la conserva sempre e comunque, così anche la carica di un senatore a vita (lo dice la parola stessa, direbbe Arbore) dura, purtroppo, una vita intera. Ambrosoli non se l’è «andata a cercare» la morte. Ha fatto solo il suo dovere fino in fondo, contro un mammasantissima (Michele Sindona) che vantava aderenze così importanti da riuscire a far decapitare, per via giudiziaria, persino l’intero vertice della Banca d’Italia, colpevole di voler applicare la legge anche nei suoi confronti. Anche il governatore Baffi, che non finì in carcere solo perché troppo vecchio (ma che dovette lasciare l’Istituto di emissione) e Sarcinelli che invece finì, incolpevolmente, a Regina Coeli, in base ai convincimenti di Andreotti, se l’erano andati a cercare. Certo, Ambrosoli sapeva che liquidare l’impero di Sindona sarebbe stato molto rischioso, come confidò in una lettera alla moglie. Ma non si sottrasse perché questo lavoro, fatto come stabilisce la legge, era il suo dovere. E anche il finanziere che lavorava con lui, e che aveva la moglie ammalata di cancro alla quale gli uomini di Sindona offrivano cure d’avanguardia negli Usa purché lui tradisse Ambrosoli, tirò diritto. E suo moglie morì tre mesi dopo l’assassinio di Ambrosoli.