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 2010  settembre 11 Sabato calendario

Mario Pirani confessa di aver sbagliato tutto Ma ne va ancora fiero - Mario Pirani, giornalista di lungo corso - è attualmente editorialista di Repubblica - racconta molte cose interessanti nella sua autobiografia ( Poteva andare peg­gio , pagg

Mario Pirani confessa di aver sbagliato tutto Ma ne va ancora fiero - Mario Pirani, giornalista di lungo corso - è attualmente editorialista di Repubblica - racconta molte cose interessanti nella sua autobiografia ( Poteva andare peg­gio , pagg. 430, euro 20) pubblicata da Mondadori. Dapprima apparatchik del Pci,poi funzionario d’al­to rango dell’Eni di Enrico Mattei, Pirani ha avuto frequentazioni importanti ed è stato coinvolto in vi­cende importanti. Ho qualcosa da obiettare sul sot­totitolo del libro: Mezzo secolo di ragionevoli illusio­ni . No, gran parte delle illusioni che Pirani ebbe nel­la sua gioventù di togliattiano puro e duro non era­no per niente ragionevoli. I ricordi di Pirani (che domani sarà ospite del Festivaletteratura di Mantova), come quelli d’altri comunisti o ex comunisti per i quali ho stima, lasciano irrisolto l’interrogativo di fondo: come è possibile che personaggi intelli­genti, preparati e risoluti nel dichiararsi indipenden­ti abbiano potuto non solo restare in un partito co­me il Pci, ma anche esserne i portaparola e gli esalta­tori? Adesso Pirani recita un mea culpa . «Non capi­vamo - scrive - che stavamo diventando succubi di un nuovo credo globale, di una fede per noi inedita che, ingabbiandoci in uno schema di pensiero geo­metricamente razionale, ci toglieva la percezione di una realtà assai più duttile, imprevedibile, contrad­dittoria ». Una prosa piuttosto involuta per ammette­re d’avere sbagliato tutto. Ma - anche questa è una caratteristica dei reduci dal Pci - senza rinunciare a una convinzione di superiorità culturale e morale. Traccia indelebile dell’antico «orgoglio luciferi­no di una confraternita chiamata a tra­sformare l’Italia e il mondo». Sappiamo, da queste pagine, che per un lungo perio­d­o nemmeno le peggiori nequizie stalini­ste riuscirono far rinsavire i fedeli. Sono straordinarie, per il loro cinismo, queste frasi di Giancarlo Pajetta rivolte alla com­missione stampa e propaganda del parti­to (Pirani ne faceva parte): «A Praga han­no impiccato sedici persone. Se noi con­trapponiamo a questo processo soltanto la lotta per la tredicesima ai pensionati o la protesta perché Gronchi non ha rispet­tato l’ar­ticolo 12 del regolamento del Par­lamento italiano, la gente dirà: “Sì, va be­ne, ma hanno impiccato sedici perso­ne”. Se invece noi facciamo vedere il peri­colo che vi è per l’Italia di uno scatena­mento della guerra, la questione delle condanne verrà vista sotto un altro aspet­to ». «La questione delle condanne», che meraviglioso eufemismo. Le rocciosità ideologiche ma anche le frivolezze della quotidianità affiorano in ogni capitolo del volu­me. Con un Enrico Berlinguer - non proprio un cor­dialone- che si irrita perché Pirani legge prima di lui la «mazzetta» dei quotidiani, lasciandogliela un po’ in disordine, e l’ammonisce a rispettarla. Ma il rac­conto più divertente è per me quello sulla rottura tra Belgrado e Mosca: un racconto che aderisce perfet­tamente alle scene d’un film della serie di Peppone e Don Camillo in cui una delegazione italiana in Urss vede sparire d’un tratto dai muri dell’albergo i ritratti di Kruscev, rimpiazzati da quelli d’un glacia­le Kossighin (Kruscev era stato destituito). Veniamo a Pirani. A metà giugno del 1948 Giancar­lo Pajetta gli consegnò un grosso plico giallo sigilla­to. «Prendi il primo treno per Belgrado, recati al Co­minform - l’organizzazione dei partiti comunisti che a Belgrado aveva sede- e consegnalo nelle mani di Giuliano (Pajetta, fratello di Giancarlo), mi racco­mando a nessun altro ». A Belgrado Pirani è fatto en­trare nell’ufficio di Giuliano Pajetta «dove questi e la sua segretaria stavano bruciando in un caminetto delle carte. “Cosa stai facendo?” chiesi. “Non lo ve­di? Bruciamo le carte superflue. La disposizione è di farlo ogni due ore in ogni ufficio. Si tratta di vigilanza rivoluzionaria. Ora puoi ripartire”». L’esterrefatto ma obbediente Pirani avrebbe voluto visitare Bel­grado. Giuliano Pajetta fu perentorio. «Devi partire immediatamente». Solo quando arrivò in Italia Pira­ni capì quel che era successo, e che il Pajetta minore gli aveva gelosamente tenuto nascosto. La prima pa­gina dell’ Unità si apriva con un titolo a nove colon­ne: «Tito condannato dal Cominform». Per questo Belgrado era d’improvviso diventata inospitale. Storie e storiacce d’altri tempi e d’un altro Pirani.