LAURA ANELLO, La Stampa 11/9/2010, pagina 13, 11 settembre 2010
“Puntiamo sul turismo gay” L’idea che imbarazza la Sicilia - In fondo, anche il bell’Antonio sembrava un campione di virilità e poi infranse la sua fama su un imbarazzante matrimonio non consumato
“Puntiamo sul turismo gay” L’idea che imbarazza la Sicilia - In fondo, anche il bell’Antonio sembrava un campione di virilità e poi infranse la sua fama su un imbarazzante matrimonio non consumato. Da buon catanese, forse pensando al malinconico eroe brancatiano (e al film, ispirato al romanzo, con Mastroianni), l’assessore al Turismo della Regione siciliana, il finiano Nino Strano, ha pensato di andare oltre il cliché dell’Isola da homo eroticus con gli occhi incollati a sculettanti sottane di pizzo. E ha tirato fuori dal cappello, lui che festeggiò la caduta del governo Prodi mangiando mortadella in Parlamento, una proposta non meno provocatoria: aprire la Sicilia al turismo gay, farne una meta come Ibiza e Mykonos. «La nostra è una terra intelligente e accogliente, non ci vedo nulla di scandaloso», ha detto, sornione come sempre. Contando così di risollevare le sorti di un settore che in Sicilia quest’estate ha visto gli operatori lamentare un meno 20 per cento. Un comparto danaroso che in tutto il mondo conta 70 milioni di turisti l’anno, il 7 per cento dell’industria dei viaggi. Ecco allora la carta dell’assessore, sventolata in faccia ai tanti veri e presunti seduttori che hanno costruito il mito del siciliano baffuto, ardito, focoso. E rigorosamente eterosessuale. Il siciliano dell’«uomo cacciatore e femmina preda», il barone Fefè di Divorzio all’italiana, il fratello geloso del «Carmela, componiti» nei Soliti ignoti. Fama talmente ipertrofica da suscitare già l’ironia dubbiosa di Giovanni Verga che si chiedeva se i giovanotti del suo paese fossero davvero campioni di virilità o semplicemente «ingravida balconi», capaci di gonfiare il petto al riparo di una rassicurante distanza tra la loro esibizione di desiderio e le signorine. Magari ammirate dal basso, tra i pochi spiragli offerti dai coprigambe alle ringhiere. Un mito insomma già insidiato, traballante, svelato nel suo artificio letterario. E sbeffeggiato, pochi mesi fa, da un «uno-due» capace di stendere il più solido alfiere del machismo: l’elezione del palermitano Giulio Spatola a Mister Gay Italia e il primo Gay Pride fra le strade del capoluogo dell’Isola, con piume, calze a rete, trucchi d’ordinanza sventagliati davanti a sparuti, imbarazzati drappelli di anziani con la coppola. Da dandy dannunziano qual è, Strano si diverte a giocare, anche con se stesso. Affermando di non essere gay, ma di «non escludere di esserlo stato in passato o di poterlo diventare in futuro». Aggiungendo di «essere attualmente contrario al matrimonio omosex, ma non a vedere persone dello stesso sesso felici». E innescando perfino un caso politico, in tempi di dita negli occhi tra finiani e berluscones. «Gasparri? Leggo poco questo scrittore, è dell’Ottocento?», risponde al capogruppo azzurro al Senato che aveva puntato il dito contro «la vicinanza tra le associazioni gay e Futuro e Libertà». Anzi rivendicandolo, quell’impegno: «Io personalmente a Catania, nel ‘93, mi battei per far aprire un locale gay, il Pegaso», dice. D’altronde, era stato lui, tra i furori della mortadella, a dare della «checca» al timorato senatore Nuccio Cusumano (reo di avere mollato Mastella per restare con Prodi), che quasi sveniva tra gli scranni del Parlamento. Il consigliere del Pdl all’Assemblea regionale Marco Falcone, poi, fa presto a parlare di tradimenti. Passando dalla sfera sessual-sentimentale a quella politica. «L’assessore - tuona - vuole applicare la linea rivoluzionaria del suo mallevadore che come lui ha tradito l’intero popolo di centrodestra e affibbiare alla Sicilia modelli culturali estranei alla nostra cultura, tradizione e religione». Strano non fa una piega. E al mito cochon da Lando Buzzanca contrappone la raffinata tradizione dei viaggiatori omosessuali dei Grand Tour ottocenteschi. «Come ignorare il barone Von Gloeden, grande fotografo di efebi nella meravigliosa Taormina?». Già? E Oscar Wilde? Arrivò a Palermo nell’aprile del 1900, ultimo suo viaggio in Italia. E apprezzò particolarmente il Duomo di Monreale, ma non per i suoi sfavillanti mosaici. «Ho fatto amicizia con un giovane seminarista - scrisse nel suo diario - Non credo che mi dimenticherà, perché ogni giorno l’ho baciato dietro l’altar maggiore».