Natalia Aspesi, la Repubblica 11/9/2010, 11 settembre 2010
Fabbrica di disinformazione e omologazione, maestra di maleducazione e cattivo gusto, impegnata a trascinare sempre più in basso un pubblico che si vuole ipnotizzato e passivo, la televisione ha eccitato all´improvviso i colti, gli snob, i filosofi, gli storici, gli architetti, i sociologi, gli studiosi di comunicazione, gli antitelevisivi, i sapienti di ogni genere, con un serial memorabile arrivato alla sua quarta stagione e appena premiato con l´Emmy Award per la miglior serie drammatica: Mad Men scritto da Matthew Weiner, il genio autore dei Soprano
Fabbrica di disinformazione e omologazione, maestra di maleducazione e cattivo gusto, impegnata a trascinare sempre più in basso un pubblico che si vuole ipnotizzato e passivo, la televisione ha eccitato all´improvviso i colti, gli snob, i filosofi, gli storici, gli architetti, i sociologi, gli studiosi di comunicazione, gli antitelevisivi, i sapienti di ogni genere, con un serial memorabile arrivato alla sua quarta stagione e appena premiato con l´Emmy Award per la miglior serie drammatica: Mad Men scritto da Matthew Weiner, il genio autore dei Soprano. Epoca fine anni ´50-´60, città New York, luogo un ufficio di Madison Avenue, la strada delle agenzie pubblicitarie, storie quelle dei suoi dirigenti e impiegati e segretarie e mogli e amanti e figli; carriere, rivalità, campagne riuscite e perdute, ambizioni, frustrazioni, nevrosi, corna, divorzi, riconciliazioni, infarti, passato inconfessabile, segreti, perdizioni, tradimenti. Presidenti americani Eisenhower, Kennedy, Nixon. elegante e siderale mensile francese Cahiers du cinéma ha dedicato alla serie definita "magnifica", un editoriale firmato dal direttore Stéphane Delorme, più un lungo articolo elogiativo e la copertina con il volto della protagonista, l´attrice January Jones di incantevole bellezza, una specie di nuova Grace Kelly, più torbida che solare, con quella sigaretta tra le dita, in un gesto di provocante, muta femminilità, che le donne di oggi hanno dimenticato. Scrive Delorme che Hollywood sta vivendo una crisi di ispirazione senza precedenti dopo aver prodotto affreschi ambiziosi come Il padrino: «Oggi è la televisione a raccontare l´America contemporanea, è un serial come Mad Men, che presenta sotto le immagini anni ´60 il riflesso mascherato della nostra epoca». Il cinema d´autore arranca nelle difficoltà finanziarie, di creatività e di mercato, sta invece nascendo finalmente una travolgente televisione d´autore; non la soap opera, non il drammone storico, non il santino biografico, non la trasposizione letteraria, non la buffonata: ma un prodotto nuovo, originale, strettamente televisivo, che non ha più bisogno di ispirarsi al cinema o di esserne gregario, ma ha trovato tempi, contenuti, scrittura ed estetica tutti suoi. Negli Stati Uniti naturalmente, non in Italia, dove l´asservimento Rai-Mediaset alla politica, alla pubblicità, ai raccomandati, ai labbroni rifatti delle show-girls, e la sparizione dei tanti talenti che l´abitavano, condannano la nostra televisione all´horror della banalità quotidiana e alla fuga dell´audience. È da anni che le serie americane hanno cominciato a puntare sull´intelligenza, l´originalità, la ricerca, soprattutto il rischio, creando nuovi sceneggiatori geniali e attori dallo speciale talento televisivo, diversi da quelli del cinema; da Lost a Six Feet Under, da I Soprano a The Wire, da In Treatment a 24. Sex and the city, nato dalla televisione e poi sfruttato anche dal cinema, mettendo a confronto i due mezzi, ha dimostrato l´assoluta superiorità della travolgente serie rispetto ai due brutti film. Per ora, Mad Men resta una serie insuperata per umanità, profondità, estetica, colpi di scena: in Italia, trasmesse fino ad ora solo su Sky, dal canale Cult, ne abbiamo viste tre serie in 39 puntate, in autunno dovrebbe cominciare la quarta, adesso in onda negli Stati Uniti. L´incanto che colpisce tutti, soprattutto gli spettatori italiani, è che quando si evocano gli anni ´60, si pensa soprattutto al ´68, alla rivolta giovanile, al femminismo, alle scuole occupate, ai cortei, ai gonnelloni, agli zoccoli, alla kefia, all´autocoscienza, agli scontri con la polizia. Mad Men ci parla degli altri anni ´60, i primi del decennio, quando negli Stati Uniti imperava ancora la mistica della femminilità, l´omosessualità era reato quindi clandestina, i neri erano ancora del tutto discriminati. E sono proprio quegli anni ´60, reazionari, crudeli, oppressivi e ipocriti, che oggi paiono invidiabili, un tempo di eleganza e ordine, di donne cotonate e imbustate e sottomesse, di uomini di successo sempre col cappello, di classi sociali separate tra privilegio ed esclusione. In nessun film recente, neppure in quelli più riusciti come Revolutionary Road di Sam Mendes o A single man di Tom Ford, quegli anni sono così vivi come in Mad Men, non solo negli ambienti, negli oggetti, nel trucco, negli abiti, nei luoghi e nei gesti, ma anche nei sentimenti, nei comportamenti, nei rapporti tra le persone. Negli uffici le donne sono dattilografe e segretarie, una sola riesce a farsi strada come dirigente, mai presa sul serio e rinunciando a una vita privata: gli unici neri che si vedono sono cameriere o inservienti, i mariti vincenti hanno mogli che escono da università prestigiose ma relegate in casa, nel paradiso dei lavori domestici secondo quella mistica della femminilità che verrà poi denunciata da Betty Friedan. Tutti bevono aperitivi o whisky ad ogni occasione, tutti fumano continuamente, tutti, in ufficio o altrove, appena possono scopano. Pare un tempo invidiabile per libertà, nessuno si pone limiti che non siano di ipocrisia moralistica, nessuno pensa al colesterolo, all´ambiente, e mai come in quegli anni la femminilità è esplosiva, vistosa eppure casta: come quella di Joan, la rossa tuttofare dell´ufficio, con i fianchi larghi, la vita sottile e il seno a punta come quello di Lana Turner, che il suo capo sposato si prende sul divano. Betty (January Jones) è invece la bellissima elegantissima, fortunata moglie di gran classe di Don Draper, il creativo dell´azienda: nella sua bella casa, coi suoi bei bambini che le danno fastidio e nulla da fare se non aspettare truccata il ritorno del marito e ribellarsi alla sua inquietudine e disperazione innamorandosi di un altro. Don, il protagonista (un nuovo straordinario Cary Grant, l´affascinante Jon Hamm, poliziotto in The Town di Ben Affleck), ha un torbido passato che deve nascondere, come nasconde tutta la sua vita erotica sino alla perversione, di amante in amante, come occulta la sua depressione e infelicità in tempi in cui solo il successo era accettabile, in cui un uomo fragile era impensabile. L´accuratezza dell´immagine in Mad Men è esemplare, mai caricaturale, mai esasperata: i completi da uomo di buon taglio ma non aderenti, il fazzoletto nel taschino, il nodo stretto alla cravatta, i guanti per guidare l´automobile, il portasigarette piatto, i graziosi abiti a corolla delle signore, i guantini bianchi immancabili, il tennis come simbolo di emancipazione, l´equitazione per esibire ricchezza; arredamenti oggi orridi, tendaggi con le frange, portaceneri di cristallo colorato, poltrone di velluto, cucine texane, enormi frigoriferi. Se esiste ancora un pubblico, anche in Italia, per l´archeologico Beautiful, sempre più dissennato e polveroso, cresce ormai la necessità, per la televisione, di conquistare quei milioni di persone che la rifiutano pretendendo un intrattenimento che risponda alle loro curiosità culturali. I film che si sono visti alla Mostra del cinema di Venezia che chiude stasera, sono per la maggior parte di buon livello, ma non si è visto un solo capolavoro: toccherà alla televisione, alla fiction, dopo Mad Men, riempire quel vuoto?