Sergio Bocconi, Corriere della Sera 11/9/2010, 11 settembre 2010
MILANO —
Il ricordo di Luigi Arisio va prima di tutto a giovedì 11 settembre 1980: la Fiat annuncia 14.469 licenziamenti. Iniziano i «famosi» 35 giorni di trattative, scioperi e picchetti. Quindi il filo della memoria si sposta di qualche settimana, alla notte di lunedì 13 ottobre. La vigilia: «Mi sono alzato numerose volte per scrutare il cielo. Mica pioverà?». Già, che scherzo sarebbe stato per la storia: la marcia dei 40 mila sospesa per maltempo. Ma il meteo è stato ininfluente. Così il prossimo 14 ottobre è in calendario il trentesimo anniversario di quel corteo che ha ribaltato le relazioni industriali in Fiat.
Cartelli La marcia dei 40 mila il 14 ottobre 1980. Molti cartelli si rivolgono a Diego Novelli, allora sindaco di Torino
Lui, il «capo», l’organizzatore della marcia, oggi ha 84 anni e si sente un po’ Cincinnato (il riferimento è suo) parlando dalla casa con giardino di Castellamonte, sulle colline del Canavese. «L’orto, qualche fagiolino, due pomodori, cosa vuole che sia...». Dalla storia in fondo si sente un po’ tradito. Perché tutti lo ricordano come il condottiero che con la clamorosa protesta dei quadri Fiat ha «rimesso le cose a posto», ponendo i sindacati nelle condizioni di dover firmare l’accordo sulla cassa integrazione a zero ore per 23 mila lavoratori. Invece si sente dimenticato come «legislatore». «Senza la marcia dei 40 mila non sarebbero esistiti i quadri intermedi: solo dirigenti, impiegati e operai. Con la legge 190 si è aggiunta questa figura». Arisio, eletto in Parlamento nel 1983 con il Partito repubblicano, è segretario della commissione lavoro. «Quando ho preso la parola, è caduto il silenzio: tutti i miei colleghi hanno smesso di chiacchierare. L’ho preso per uno sfottò. Vincenzo Mancini della Dc mi dice: "Ma no, perbacco: sono tutti interessati perché qui dentro chi ha lavorato sul serio sei solo tu"».
Ma se sulla legge si prende con determinazione i meriti che gli spettano, Arisio è ben disposto a condividere il ruolo di capo-marcia. Con Carlo Callieri, allora direttore del personale di Fiat auto. «È stato lui a suggerire il corteo per la città. E a sostenere l’idea, giocandosi la sottana se qualcosa andava storto. Noi avevamo pensato a un’assemblea al Teatro Nuovo. Io avevo spedito 17 mila lettere dando fondo alle risorse finanziarie della Cassa coordinamento nazionale dei quadri industria, di cui ero presidente. Pensi che il sindaco comunista Diego Novelli ci ha fatto anche pagare la sala. Qualcuno ha malignato: le lire le ha messe la Fiat. Ma in tv ho risposto: alle feste pago sempre io da bere per tutti. Sa cosa mi ha detto l’Avvocato? Arisio, con quella battuta è stato proprio impagabile».
Callieri conferma e racconta che tutto è cominciato il 10 ottobre. «Era venerdì, ho incontrato Arisio e gli altri "capi" a Ville Roddolo, a Moncalieri, la casa di cura e di riposo per dipendenti ed ex della Fiat. Non potevamo certo vederci in stabilimento, che peraltro era bloccato. Mi hanno illustrato i loro propositi e io ho detto loro: "Non fate i topi in gabbia, uscite, sfilate per la città, usate il passaparola"». Arisio ammette di aver avuto un dubbio: «E se qualcuno ci sparacchia alle gambe?». Ma il manager Fiat avrebbe risposto così: «Prenderemo le misure necessarie e nessuno sparacchierà». Callieri ne parla domenica a Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat. «La trattativa correva il rischio di andare verso un accordo con cassa integrazione a rotazione. E c’era in programma un incontro fra vertici d’azienda e sindacato lunedì. Gli ho chiesto di rinviare a martedì, perché ci sarebbe stata la manifestazione. Sarò sincero: a Romiti l’idea è parsa un po’ velleitaria. Ma lunedì l’Avvocato mi ha dato ragione».
E così si arriva al 14 ottobre 1980. Arisio tiene il discorso di apertura. E parla di una «Torino capitale del lavoro e della democrazia che si riunisce per denunciare la sopraffazione continua in fabbrica», di una «massa silenziosa allergica al clamore della piazza, che vuole esprimere il proprio parere». Il Teatro è pienissimo. Dice Arisio: «Che aria si respirava? Un giornalista del Resto del Carlino la paragonò al maggio francese. Ma io non sapevo nemmeno a cosa facesse riferimento». Si forma il corteo per le strade. Che raccoglie adesioni anche esterne, di cittadini e commercianti. «Il primo a chiedermi se eravamo proprio in 40 mila è stato l’Avvocato. Gli ho risposto: l’ha detto Luciano Lama, non oserei mai contraddirlo. Comunque se non proprio 40, 30 mila sì». La marcia si dirige prima al Palazzo della Regione, poi in Prefettura. «E lì il prefetto Emanuele De Francesco mi dice: "Avete salvato l’Italia"».
Nel frattempo a Roma, all’hotel Boston, la trattativa prosegue. E arrivano le notizie da Torino. Nella stanza ci sono Romiti, Vittorio Ghidella (che guida Fiat auto) e i tre leader sindacali, Lama (Cgil), Pierre Carniti (Cisl) e Giorgio Benvenuto (Uil). Racconta Carniti che ogni volta che entrava qualcuno e sussurrava qualcosa a Romiti, lui «diventava sempre più sorridente». «Anche le nostre fonti locali d’altra parte ci riferivano della marcia. Io e Lama, che eravamo andati lì con l’obiettivo di chiudere al meglio puntando sulla cassa integrazione a rotazione, ci siamo messi a discutere. Io gli dicevo che, considerata la situazione, non dovevamo assolutamente concludere la trattativa quel giorno, perché la firma sarebbe stata interpretata non con un compromesso ma come una pesante sconfitta. Ma Lama era pressato da Luigi Berlinguer, che pure il 26 settembre di fronte ai cancelli aveva promesso l’appoggio del Pci in caso di occupazione della fabbrica. Alla fine ho capito che non ce l’avrei fatta a convincere Luciano e gli ho detto: possiamo dividerci in caso di vittoria, ma dobbiamo restare uniti nella sconfitta». Così, secondo Callieri, Lama dice a Romiti: «Ci proponga un testo. Noi ne avevamo predisposto uno che escludeva la rotazione della cassa integrazione. Carniti ha chiesto una rotazione limitata a una linea di montaggio di Mirafiori. Un fatto simbolico, che è rimasto tale. E la trattativa si è chiusa».
I picchetti non ci sono più. E il giorno dopo (questa volta sotto la pioggia) tutti si riuniscono al cinema Smeraldo. Ci sono i delegati, e ci sono i vertici sindacali che in tasca hanno l’accordo per la cassa a zero ore di 23 mila lavoratori. Dice Carniti: «Lama non ha avuto il cuore di parlare. Io sì. Più che una riunione sindacale è stato un happening. C’erano gli operai, certo, ma anche studenti e qualche estremista. Vicino a me due gay hanno continuato a baciarsi...». Il giorno successivo è la volta del ritorno in fabbrica. Racconta Carniti: «L’accordo viene approvato a larghissima maggioranza. Ma all’uscita cercano di aggredirci. Chi mi salva? Giuliano Ferrara, allora del Pci, e Sabatini, anch’egli comunista. Mi mettono al riparo delle ombrellate...».
Trent’anni fa. Qualsiasi tentativo di riportare i fatti di allora all’attualità di Pomigliano e della Fiat di Sergio Marchionne è, secondo Bruno Manghi, ex segretario Cisl a Torino e studioso delle relazioni industriali, «semplicemente assurdo». La marcia dei 40 mila? «Come le Termopili, per quanto è distante da noi. Da vent’anni non c’è più conflitto industriale». E Arisio: «Oggi è solo vecchia liturgia. La globalizzazione ha cambiato tutto». E dire che trent’anni fa per cambiare tutto sarebbe forse bastato un acquazzone.