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 2010  settembre 10 Venerdì calendario

I PANNELLI SOLARI SI ACCENDONO - I

destini dell’energia elettrica planetaria restano legati indissolubilmente al fattore W.
Per oltre un secolo, la luce è entrata nelle case del mondo intero grazie alle lampadine a incandescenza prodotte da General Electric nel suo stabilimento di Winchester, che dopo cent’anni di onorato servizio si appresta a chiudere i battenti. Da qualche anno, e chissà per quanti altri ancora, una parte consistente dell’energia elettrica pulita prodotta in ogni angolo del mondo avverrà per mezzo dei pannelli solari prodotti da Suntech, un’azienda cinese di Wuxi diventata in un battibaleno uno dei leader mondiali del settore.
Ieri Winchester, oggi Wuxi. Ieri la lampadina, oggi il pannello solare. Un pannello solare guardato per almeno un paio di decenni come un oscuro oggetto del desiderio da produttori e consumatori di energia e oggi diventato come per incanto una banale commodities a basso costo, buona perfino per l’utilizzo fai da te. Proprio come la vecchia lampadina a bulbo.
Ma i prodotti di largo consumo, anche se incorporano un’elevata dose di tecnologia (anch’essa, a sua volta, trasformata dall’industria elettronica globale in commodities a basso valore aggiunto), ormai non si producono più nei paesi industrializzati. Sarebbe troppo oneroso. Non solo per via dei costi della manodopera, ma anche di quelli della terra e del capitale che nel vecchio mondo, nonostante la crisi economica, restano proibitivi.
È così che nascono i miracoli industriali come quello della Suntech. Nel giro di soli dieci anni, Shi Zhengrong, il fondatore dell’azienda di Wuxi oggi tra gli uomini più ricchi del mondo, ha trasformato un piccolo opificio in un colosso planetario dei pannelli solari, il cui business ha assunto dimensioni talmente globali da imporre l’apertura di ben tre quartieri generali: in Cina, in Svizzera e negli Stati Uniti.
Un business dai numeri impressionanti: dalla sua costituzione, Suntech ha venduto la bellezza di 10 milioni di pannelli solari in ottanta paesi. Entro la fine di quest’anno, grazie ai massicci investimenti realizzati di recente, la capacità produttiva dell’azienda di Wuxi salirà a 1,8 gigawatt. Oltre il 96% dei pannelli solari sfornati da Suntech finiscono sui mercati esteri, in particolare Europa e Stati Uniti.
La globalizzazione di Suntech non ha investito solo la sfera commerciale e produttiva dell’azienda, ma anche quella finanziaria, visto che nel 2005 la società si è quotata alla Borsa di New York.L’ultimo a rendere omaggio al successo di Suntech è stato Al Gore. Tre mesi fa, l’ex vicepresidente statunitense, oggi impegnato in prima linea nella lotta al surriscaldamento del pianeta, è andato a Wuxi per inaugurare un museo sulla tutela ambientale creato da Suntech.
Shi Zhengrong è stato certamente bravo, astuto e intuitivo nel comprendere l’evoluzione futura del mercato dei pannelli solari e nell’anticipare la fame di energia pulita del mondo occidentale. Ma, esattamente come accaduto oltre la Grande Muraglia in molti altri comparti manifatturieri, alcuni fattori locali hanno dato una bella mano al patron di Suntech.
Il colosso di Wuxi, infatti, ha potuto godere di una serie di agevolazioni a largo spettro che ne hanno certamente agevolato il decollo iniziale e poi la straordinaria penetrazione commerciale nel mondo: insediamenti a costo zero, incentivi fiscali all’esportazione, credito facile, università che sfornano ingegneri disposti a lavorare per salari da operai specializzati.
Ma Suntech è solo la punta di un iceberg formatosi rapidamente negli ultimi anni in Cina nell’industria ambientale (il boom dei pannelli solari va di pari passo con quello degli impianti eolici), grazie alle "politiche incentivanti" non sempre cristalline e trasparenti promosse da Pechino.
Un iceberg gigantesco che, come avvertiva ieri il New York Times proprio mentre Barack Obama arringava gli americani dicendo loro di «non voler più vedere batterie e pannelli solari importati dall’Europa o dall’Asia», potrebbe presto spingere Washington o l’Unione europea a denunciare la Cina per concorrenza sleale all’Organizzazione mondiale del commercio.