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 2010  settembre 10 Venerdì calendario

I PANNICELLI DI OBAMA NON SCALDANO LA RIPRESA - I

mmaginate un medico che riveda nel suo studio un malato che non è guarito dopo una dose da cavallo di un farmaco. Pensate che gli prescriverebbe una dose minima dello stesso farmaco? Molto probabilmente no. Invece è proprio quello che l’amministrazione Obama sta facendo per curare l’economia americana che non riesce a guarire.
Nei momenti più bui della Grande Recessione, Obama varò il più grande pacchetto di stimolo fiscale ( fondato su più spese) del dopoguerra, 750 miliardi di dollari. È servito? Difficile rispondere. A bocce ferme, ovvero tra 3- 4 anni, quando ci guarderemo indietro, forse scopriremo che i paesi che hanno lasciato giustamente crescere (ma non esplodere) i deficit durante la recessione, ma poi hanno iniziato presto a rientrare, saranno quelli che hanno fatto meglio di altri (si veda la Germania). Comunque è possibile che lo stimulus package del 2009 sia servito a evitare guai peggiori. Ma nella migliore delle ipotesi sembra sia stato un fuoco di paglia, visto che l’economia non si riprende in modo sostenuto. E allora che senso ha aggiungere un minuscolo stimolo di spesa di 50 miliardi per infrastrutture? Nessuno. La parte potenzialmente utile di questa seconda manovra fi-scale è un’altra, e riguarda sgravi fiscali per investimenti in ricerca e sviluppo e (in parte minore) altri tipi di investimenti. E qui che si doveva fare di più fin dall’inizio, da quando fu attivato il primo stimolo fiscale, ora potrebbe essere too little too late .
I problemi dell’economia americana, da cui indirettamente dipendono anche le sorti della ripresa europea, sono seri. La disoccupazione sta diventando strutturale, ovvero di lungo periodo, e rende i disoccupati sempre meno riassumibili. La mobilità geografica era il grande motoreche teneva bassa la disoccupazione: la gente si spostava dove il mercato del lavoro era migliore. Ma il crollo dei valori immobiliari nelle aree depresse rende difficile vendere la propria casa e ricomprarla altrove dove i prezzi delle case sono scesi meno. Invece di questa mobilità negli investimenti, oggi, ci sarebbe molto bisogno. Infatti la ripresa dell’economia americana è a pelle di leopardo, in certi stati c’e, in altri no. Le deprimenti immagini di Detroit sono l’esempio più eclatante: la soluzione più semplice per questa città in declino sarebbe che se ne andassero tutti altrove. Spendere in infrastrutture a Detroit non cambierà pressoché nulla, ammesso che parte dei 50 miliardi finisca lì. La finanza pubblica in dissesto preoccupa consumatori e imprese. I primi temono un aumento delle imposte anche ben al di sotto dei 250mila dollari di reddito annuo, limite al di sotto del quale Obama ha promesso di non aumentare le aliquote (promessa che non potrà mantenere). Le imprese temono più imposte e più regole di stile "europeo" che rendano il mercato del lavoro meno flessibile e non reinvestono i loro profitti. Le esportazioni ristagnano e non è chiaro cosa Lawrence Summers, il principale consigliere economico di Obama, abbia ottenuto nel suo più recente viaggio in Cina per perorare la causa americana. Ammesso (e non concesso) che la politica economica possa fare qualcosa per risolvere in fretta questi problemi, 50 miliardi di spesa pubblica non sono certo la soluzione. Potrebbero servire interventi più mirati, con incentivi fiscali per favorire investimenti; in questo senso la seconda parte della manovra Obama è migliore; sarebbe meglio prolungare i tagli fiscali introdotti da Bush per tutti, insieme a una politica di spesa prudente che metta sotto controllo il deficit per rassicurare mercati e consumatori. Riqualificazione e formazione dei disoccupati strutturali, così come interventi mirati nel settore edilizio forse possono servire.
Tutto ciò è difficile, con probabilità di successo incerte e politicamente molto meno vendibile. Invece è facile politicamente sbandierare 50 miliardi di spese in infrastrutture come una specie di mini New Deal. Ma in realtà è un segno di disperazione politica.
In novembre, in cui è quasi certa una disfatta per il partito democratico, i repubblicani potrebbero addirittura riconquistare la Camera dei deputati. I risultati di un’inchiesta di opinione di qualche giorno fa rivelano che la maggioranza degli americani ritiene che i repubblicani siano migliori come gestori della politica economica, mentre la popolarità di Obama sta scendendo vertiginosamente. Una seconda indagine rivela che gli americani sono più preccupati del deficit che della disoccupazione. Proprio per questo, tra l’altro, è improbabile che questo secondo stimulus package sia approvato dal Congresso.
Insomma: i problemi ciclici dell’economia americana sono seri e non dipendono solo dalla politica di questa amministrazione. Ma continuare cocciutamente a seguire una sola strada, più spesa pubblica e più deficit, non serve.