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 2010  settembre 10 Venerdì calendario

QUEI «MASTINI» DEL PCI CHE DIFESERO DANTE MA FINIRONO AL TAPPETO DAVANTI A LAMA —

Erano massicci e coraggiosi, compatti, violenti (se serviva) e molto comunisti: un cordone umano che si spostava ovunque il Pci avesse bisogno di protezione e che cessò di essere insuperabile proprio durante un comizio. Quindi non è detto che se ce ne fosse stato uno a Torino, alla festa del Pd, Raffaele Bonanni sarebbe stato al sicuro. Però nel comizio in cui il leggendario servizio d’ordine di Botteghe Oscure fu costretto a cedere il passo, e anzi a piegarsi e a indietreggiare, sul palco stava parlando Luciano Lama: era il 17 febbraio del 1977 e a caricare, nel piazzale della Minerva, all’università di Roma, non furono — come l’altro pomeriggio — una trentina di precari e di anarchici, ma centinaia di autonomi, che scatenarono una memorabile guerriglia.
«Ecco, appunto... — la prima che ascoltiamo è Lucia Annunziata, che di quel giorno all’università e del servizio d’ordine che scortava Lama ha scritto nel suo bel libro 1977, l’ultima foto di famiglia (Einaudi) — appunto è per questo che, nelle ultime ore, quando ho sentito dire, con malcelata nostalgia, che il Pd dovrebbe dotarsi di un nuovo servizio d’ordine, mi sono venute le bolle. Perché io il servizio d’ordine del Pci lo odiavo. E sai perché lo odiavo? Perché serviva a un Pci che doveva difendere i propri spazi dal dissenso. Mentre io credo che, al contrario, il dissenso vada gestito, gestito politicamente».
Lucia Annunziata, all’epoca militante e giovane cronista del manifesto, vide entrare in azione il servizio d’ordine del Partito comunista piuttosto spesso. L’azione aveva qualcosa di militare, nella perfezione delle sue mosse. Studiate e preparate fin dalle prime uscite del secondo dopoguerra, in occasione delle grandi manifestazione operaie. Immaginate: gli energumeni, uno sottobraccio all’altro. E stretti, e con il petto in fuori. All’inizio, restavano fermi. Poi, avanzavano. «Poi, se non ti scansavi», è ancora la Annunziata che ricorda, «iniziavano a spingerti. Quindi partiva uno schiaffo, un pugno sul naso, o una manata sull’orecchio, perché sull’orecchio senti un dolore pazzesco. Infine, se era il caso, tiravano fuori le chiavi inglesi dalle tasche e...».
Il cordone del servizio d’ordine, ogni volta — diciamo dal 1947 alla fine degli anni Ottanta — veniva rinforzato con elementi convocati appositamente. A Milano, i metalmeccanici della Pirelli. A Torino, quelli della Fiat. A Roma, gli edili e i vigili del fuoco (la presenza dei vigili del fuoco è abbastanza inedita, ma a raccontarla è un attuale alto dirigente del Pd, che preferisce restare anonimo). Naturalmente, per le circostanze più delicate, arrivavano i portuali di Genova e di Livorno (questi ultimi, vere truppe d’élite del Pci).
«Da come lo sta descrivendo, il nostro servizio d’ordine sembra però che fosse una specie di milizia... Invece erano solo straordinari volontari... Ricordo, ad esempio, che ad un certo punto, a Botteghe Oscure, si occupò del servizio d’ordine persino un intellettuale come Antonello Trombadori»: questa è la voce di Emanuele Macaluso, ex direttore dell’Unità ed ex esponente di rango del vecchio Pci.
Precisata l’origine del servizio d’ordine che fu, lei crede che si potrebbe ricostituire qualcosa di simile? «Assolutamente no. E sa perché? Perché a forza di parlare di partito leggero, di partito liquido... si sono liquefatte anche le idee e la passione. E senza passione non si trovano più volontari neanche per preparare i tortelli di zucca al ristorante della Festa del Pd». Alla Festa del Pd, a Torino, hanno centrato Raffaele Bonanni con un fumogeno. «Senta, sa chi faceva la vigilanza alle Feste dell’Unità? I militanti. Bastavano loro. Il servizio d’ordine compariva in rare circostanze. Se c’era un ospite particolare, non so, un Andreotti, o se magari era la sera in cui parlava il segretario del partito, Enrico Berlinguer... Del resto non c’era uscita pubblica del segretario del partito, o del segretario generale della Cgil, che non vedesse schierati i nostri muscolosi e fidati compagni».
Massimiliano Fuksas, oggi architetto di fama mondiale, quei muscolosi e invincibili compagni li vide arretrare, e poi inciampare, e quindi disperdersi dopo aver scortato Luciano Lama all’uscita della Sapienza.
«Sì, posso dire di aver assistito alla fine del servizio d’ordine del Pci». Era all’università, quella mattina di febbraio del 1977? «Ero alla facoltà di Lettere. Fu una scena piuttosto plastica. Gli uomini del Pci e della Cgil erano tutti operai, nessuno credo avesse meno di trent’anni. Gli autonomi erano giovani, rapidi, e attaccavano con un evidente, travolgente entusiasmo».
Come ricorda Fuksas, e come scritto prima, era nelle fabbriche che il Pci reclutava gli uomini per il suo servizio d’ordine. «Sì, anch’io ne ho precisa memoria», dice Renzo Canciani, oggi alto dirigente Rai della sede di Milano, incaricato di gestire i rapporti con l’Expo, e all’epoca militante del Movimento studentesco milanese, che ai cordoni di sicurezza del Pci opponeva i Katanga, «qualcosa in più e forse di diverso da un servizio d’ordine». «All’università Statale — ricorda Renzo Canciani — venni incaricato di contestare un certo professor Gianni Barbarisi, iscritto al Pci e colpevole, diciamo così, di dedicare troppe lezioni a Dante. Riuscii ad interrompere le sue lezioni solo per due giorni. Al terzo, infatti, nelle prime file trovai seduti una ventina di nerboruti operai del l a Fiom-Fit Ferrotubi di San Siro, chiamati dalla sezione Ho Chi Minh dell’ateneo: stavano tutti lì, con l’aria minacciosa e ciascuno con una copia della Divina Commedia tra le mani».
Fabrizio Roncone