Daniele Manca, Corriere della Sera 10/09/2010, 10 settembre 2010
«IL CONFLITTO D’INTERESSI DELLA MONDADORI? BASTA CON L’EROISMO A TASSAMETRO» —
Il Corriere l’aveva chiamata sabato 21 agosto, per sapere che cosa pensasse di uno scrittore (Vito Mancuso) che apriva una polemica contro una casa editrice (la Mondadori) di cui Marina Berlusconi è presidente. Ma allora la figlia del presidente del Consiglio aveva preferito non commentare. In tre settimane però qualcosa è cambiato. Non solo politicamente. «In questi giorni sono state dette cose su di noi come azionisti e come editori alle quali non posso non rispondere. E’ un film già visto, vengono attaccate in modo strumentale le nostre aziende con obiettivi politici».
Attacco o non attacco, tutto è partito dal fatto che la Mondadori ha usato, e velocemente, una legge che le ha permesso di chiudere un contenzioso fiscale di centinaia di milioni con pochi milioni. E per di più in una vicenda che durava da vent’ anni.
«Appunto: chiudiamo un contenzioso fiscale che ci trasciniamo dietro da vent’ anni. Ma le pare normale? E questo nonostante ben due sentenze, di primo e secondo grado, ci abbiano dato ragione sancendo la totale correttezza dei nostri comportamenti. Sa che cosa significano tempi così lunghi e incognite così grandi per un’azienda?».
Fatto sta che quella leggina è arrivata al momento giusto. Non a caso si è parlato di provvedimento ad aziendam.
«Macché. Il latinismo è orribile, ma visto che lo usano tutti lo faccio anche io: non legge ad aziendam, ma ad aziendas, perché è una norma che restituisce certezze a tutto il sistema delle imprese. Se le leggi, come in questo caso, sono sacrosante, che cosa si vorrebbe, che le nostre aziende non le utilizzassero solo perché fanno capo alla famiglia Berlusconi? Questo sì che è il vero conflitto di interesse, quello all’ incontrario. Ma lo sanno che il nostro gruppo negli ultimi 15 anni ha pagato 2,2 milioni di euro al giorno, dico al giorno, fra imposte e contributi?».
Ci mancherebbe non pagaste le tasse. Ma la polemica si è allargata molto, intrecciando questioni etiche, morali, politiche.
«Fatto sta che tutti si sono trovati d’accordo su un punto: Mondadori è un gruppo editoriale libero, fatto di grandi professionisti, che ha il rispetto più assoluto della libertà di espressione dei suoi autori, che non ha mai censurato una parola a nessuno».
Appunto, lo hanno riconosciuto tutti.
«Sì, ma non per arrivare a riconoscere che la famiglia Berlusconi è un editore liberale. Quanto per sostenere l’esatto contrario: che la Mondadori è così "nonostante" il suo editore. "Buoni" e "cattivi", insomma. E quando la realtà viene ribaltata in questo modo, io non posso stare zitta».
Sta dicendo insomma che dobbiamo ringraziarvi?
«Sto dicendo che controlliamo la principale casa editrice italiana da vent’anni. E davvero qualcuno può credere che in questi vent’anni, scendendo ogni mattina in trincea, elmetto in testa, in Mondadori abbiano dovuto difendere giorno dopo giorno la propria autonomia, i propri principi contro l’invadenza del padrone-censore? Ma andiamo! Basta conoscere un poco le cose di Segrate per sapere che questa è una barzelletta, per non dire di peggio».
Barzellette, strumentalizzazioni: adesso è a noi che sembra di vedere un film visto tante volte.
«La pensi come vuole, resta il fatto che tra noi come azionisti e la Mondadori ci sono ben due decenni di costruttivo e proficuo rapporto. Vent’anni di buoni risultati non si costruiscono senza un legame franco e profondo».
E senza una Mondadori che era così ben prima del vostro arrivo…
«Certo, e sa che cosa ci unisce? La stessa concezione del mestiere dell’ editore: una concezione secondo cui ciascuno ha le proprie idee, però le scelte si fanno basandosi esclusivamente su valutazioni editoriali, qualitative e professionali».
Sa, a volte è molto conveniente essere liberali. Tanto più quando si producono un bel po’ di profitti.
«No, guardi, anche prima della crisi che l’editoria sta attraversando, ci sarebbero stati settori ben più redditizi in cui investire. O magari qualche bella speculazione finanziaria sulla pelle dei piccoli azionisti, che tanto ha arricchito alcuni di coloro che ora ci fanno la morale. No, non è roba per noi. Questo è il mestiere che ci piace: essere imprenditori della cultura, partecipare alla circolazione delle idee, naturalmente stando sempre attenti ai conti, perché non esistono imprese in perdita che alla lunga siano effettivamente libere».
La metta come vuole, ma proprio l’altro ieri il premio Campiello Michela Murgia, che pubblica per Einaudi, ha accusato suo padre di coltivare un sogno segreto: epurare tutti gli scrittori di sinistra.
«Se è per questo, Michela Murgia, alla quale vanno i miei complimenti per la vittoria, di cose dalle quali dissento totalmente ne ha dette tante altre. Comunque, l’unico sogno che abbiamo sempre coltivato e realizziamo ogni giorno è quello di pubblicare buoni autori. Se altri sogni in vent’anni non sono diventati realtà è solo perché non sono mai esistiti. Ma secondo lei, quando abbiamo rilevato un’Ei-naudi in gravi difficoltà, non conoscevamo quello che ha sempre rappresentato per la sinistra italiana? E qualcuno può dire che abbiamo mai cercato di snaturare quelle che sono la storia e la tradizione dell’Einaudi?».
Il discorso dei «buoni» e «cattivi» l’ha proprio punta sul vivo.
«Qui si tratta solo di rispettare la realtà. Me lo faccia dire ben chiaro: se la Mondadori è oggi, come mi pare tutti riconoscano, quella grande azienda libera e pluralista che è, lo è anche perché noi abbiamo voluto e vogliamo che sia così. Altro che "nonostante" noi! E’ così "anche grazie" a noi. E se non si fosse condizionati da un antiberlusconismo accecante, che finisce per impedire di vedere le cose come stanno, di notare contraddizioni e ipocrisie, io credo che questo non potrebbe non esserci riconosciuto».
Vada a spiegarlo al professor Mancuso.
«Sui turbamenti interiori del professor Mancuso mi pare che la Mondadori abbia già detto quello che c’era da dire. E non solo la Mondadori. Certe sue affermazioni, devo confessarlo senza offesa per nessuno, mi hanno comunque ricordato di quando, io ero una bambina, c’era chi non voleva più bere la Coca Cola per boicottare quei guerrafondai degli americani».
Fu un modo di porre il problema come ha fatto lo scrittore-teologo.
«Lasciamo perdere… E mi ha anche molto colpito il suo eroismo a tassametro: sono l’unico che ha il coraggio della coerenza, ma non c’è fretta, anche la coerenza può attendere, prima di scendere voglio finire la corsa, consegnare l’ultimo libro a Mondadori».
Non sarà mica tutta colpa di Mancuso, i giornali hanno dato ampio spazio alla polemica, segno che il tema c’era.
«Veramente a dare il là è stata, come al solito, Repubblica. Molti le sono andati dietro. Ma sarebbe da ingenui non vedere che il tutto è stato utilizzato per l’ennesimo attacco politico, e da un quotidiano che in fatto di editoria pluralista e liberale, secondo me, ha ben poco da insegnare».
Ora però è lei che accusa di illiberalità un grande e riconosciuto quotidiano...
«Mi faccia dire. L’ingegner De Benedetti predica bene ma razzola male, anzi malissimo. Vuole un esempio concreto? Si presenta come il paladino della libertà di stampa, il campione dell’ informazione senza bavaglio, e poi abbiamo visto tutti come Repubblica, pochi giorni fa, ha dato la notizia delle sanzioni Consob per l’insider trading in famiglia: ricordava la Pravda dei tempi d’oro. Sfido chiunque a capire dalla titolazione che tra i personaggi coinvolti c’erano parenti stretti dell’Ingegnere. Sarà perché a Repubblica non piace il tema "guai e cognati"?».
Su «guai e cognati» lei è azionista del «Giornale» e almeno per quanto riguarda Gianfranco Fini, il tema è piaciuto molto.
«Io non faccio il tifo per un certo modo di fare informazione, a prescindere dai protagonisti. Ma qualcuno mi deve spiegare perché quando i giornali mettevano sotto processo, in modo davvero vergognoso, la vita privata di mio padre, sentivo solo grandi applausi alla libera stampa che non si ferma davanti a nessuno e che è il sale della democrazia. Quando invece si chiedono, legittimamente, dei chiarimenti su vicende che private non sono, perché ci sono di mezzo i beni di un partito, ecco che si grida al complotto, addirittura alla "lapidazione islamica"».
Se è per questo, riferendosi a suo padre, Fini ha anche parlato di metodi stalinisti.
«Mi sembra davvero paradossale. Fini, che è un oratore molto abile, in questo caso forse avrebbe dovuto scegliere i termini con maggior cura: fra i due, quello che in fatto di ideologie assolutiste può vantare innegabili frequentazioni è di sicuro lui. Mio padre, con la sua discesa in campo, ha portato in questo Paese una vera e propria ventata di libertà e ha giustamente inserito nel gioco democratico proprio Fini e i suoi compagni».
Una storia però che pare finita. Ne ha parlato con suo padre?
«Mio padre ha subito molte ingiustizie, e molto grandi. Ma si è sempre comportato nello stesso modo: reagire, andare oltre, costruire e guardare avanti». La crisi però non sembra chiusa. «Senta, di politica mi ha già fatto parlare fin troppo. Quello che a me interessava era rispondere alle tante falsità che anche in questo caso sono state dette su di noi e sulle nostre aziende».
E vorrebbe che gli autori Mondadori le dessero ragione, vero? E’ questo che chiede loro?
«Non chiedo proprio niente. Mi piacerebbe solo che avessero per le mie idee e le mie opinioni, anche se la pensano in modo totalmente diverso, lo stesso rispetto che io ho sempre avuto e ho per le loro».
Daniele Manca