Roberto D’Agostino su Dagospia 10/9/2010, 10 settembre 2010
Ma quale gaffe! Vedendo ieri sera, a un’ora del cazzo (in prima serata il cosiddetto servizio pubblico spara in onda solo pecionerie e sconcerie), la fortissima ed emozionante puntata confezionata da Giovanni Minoli sull’assassinio di Giorgio Ambrosoli, balza evidente la coerenza del pensiero di Giulio Andreotti
Ma quale gaffe! Vedendo ieri sera, a un’ora del cazzo (in prima serata il cosiddetto servizio pubblico spara in onda solo pecionerie e sconcerie), la fortissima ed emozionante puntata confezionata da Giovanni Minoli sull’assassinio di Giorgio Ambrosoli, balza evidente la coerenza del pensiero di Giulio Andreotti. Essì, fa male alle anime belle, ma quel terribile "se l’andava cercando" è terribilmente vero. In breve e in greve, il Gobbo ha fatto capire - e chi sa l’ha capito benissimo - che solo un kamikaze votato al suicidio poteva infilarsi nella guerra tra due "mafie". Potentissime. Da una parte, la finanza cattolica che faceva capo economicamente a Michele Sindona e politicamente al Divo Andreotti. Dall’altra, la massoneria dei poteri forti internazionali che aveva come suo referente italiano Il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia (un tipino potentissimo che poteva permettersi di silurare anche le volontà di Gianni Agnelli: infatti il fratello Umberto fu accantonato per far posto a Cesare Romiti alla guida della Fiat). I nostri duellanti si conoscevano benissimo essendo nati e cresciuti nella stessa strada di un paesone siculo a pochi kilometri da Messina, Patti. Insieme avevano condiviso gioventù e passione per il quattrino e il potere. Il decollo meneghino per Cuccia arriva dal matrimonio con Idea Nuova Socialista, un bel nome affibbiato dal di lei padre Alberto Beneduce, che fondò durante il fascismo (1933) il carrozzone dell’Iri, Istituto per la Ricostruzione Industriale. Ecco: l’avvocato Giorgio Ambrosoli, curatore fallimentare della bancarotta di Sindona, non comprese che mettersi in mezzo tra Sindona e Cuccia, era come infilarsi in una sparatoria di picciotti armata di lupara. agnelli enrico cuccia Michele Sindona La guerra tra massoni bianchi e massoni neri, nel documentario di Minoli, esplode sul finale quando vanno in onda le immagine della deposizione di Cuccia. A un anno dall’uccisione di Ambrosoli, il presidente di Mediobanca va al processo e, ingobbito come Andreotti, racconta tranquillo, come un pisello nel suo baccello, il suo incontro a New York con il suo ex compagno di giochi Sindona, durante il quale il bancarottiere siculo gli annuncia di voler ammazzare Ambrosoli (vedi l’articolo che segue di Barbacetto, scheda 1389236). Ebbene: perché la notizia "criminis" non viene denunciata da Cuccia a qualche Beria di Argentine suo amico in tribunale? Magari la vita di Ambrosoli poteva essere blindata, magari salvata. Sempre ieri sera, si è appalesata la silhouette massiccia dell’avvocato di Sindona Guzzi per chiarire che il fallimento era semplicemente "coatto" perché le attività erano superiori alle passività e Sindona aveva la possibilità di rifondere il 65 per cento del debito (un fatto ammesso durante il programma da un collaboratore di Ambrosoli). Quindi, i termini per un patteggiamento c’erano tutti. No, lo scopo di Cuccia era la cancellazione di Sindona e la messa in mora del Vaticano. Bettino Craxi e Giovanni Minoli Quando poi, in uno stralcio di intervista in carcere, Minoli chiede a Sindona del suo ex compare, si sente rispondere così: "Cuccia è il padrone del tribunale di Milano". Ah, ecco: forse ora è più chiaro perché Tangentopoli ebbe il suo epicentro sotto il Duomo anziché nel luogo deputato della politica, Roma, porto delle nebbie... Umberto Ambrosoli Paolo Baffi e Bruno Visentin Risulta che Sindoma temeva l’estradizione dal carcere americano perché era convinto di fare la fine di Pisciotta. Cosa che regolarmente accadde quattro giorno dopo la condonna all’ergastolo.