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 2010  settembre 10 Venerdì calendario

UN INCUBO RICORRENTE NELLA STAZIONE TERMINI

Vita vissuta alla Stazione Termini di Roma. Ore 21, in attesa del treno, si manifesta, prepotente, una banale esigenza fisiologica. Nel bel bar dove si è appena finito di consumare un panino la toilette è chiusa al pubblico: «Ci scusi, ma capirà: sarebbe un via vai... Però ci sono quelle pubbliche giusto qui sotto, all’interrato». Già, ci sono: ma sono a pagamento, 80 centesimi. Prima idiozia: devi inserire minimo tre monete. Tanto vale, cifra tonda: 1 euro o, meglio, 50 centesimi. Anche perché a 30 metri, al McDonald, ci si sfama decorosamente con 4 euro. Ottanta centesimi per farla, non sarà troppo? Ma tant’è... In tasca, zero monete: fortuna che, davanti ai tornelli elettrici della toilette, ci sono due macchinette cambiabanconote da 5 e da 10 euro. Nossignore, disdetta: nel portafoglio, ci sono solo due banconote da 20. Niente paura salvo che per l’esigenza fisiologica, crescente, crescente..: di fronte c’è uno sportello di «Foreign Exchange», per cambiare la banconota... «Mi dispiace, non possiamo cambiare banconote». Si torna al bar, e si viene esauditi: i 20 euro diventano un pezzo da 10 e 2 da 5. Tornati alla macchinetta cambiabanconote, disdetta: non funziona, contrariamente alle promesse accetta solo di cambiare monete da 1 o 2 euro in monetine di taglio piccolo. Nuova tappa al bar, acquisto di un caffè altrimenti niente cambio, finalmente con in tasca le monete contate 80 centesimi si riesce a entrare. Dentro, un capannello di quattro maghrebini piantati davanti ai lavamani, in assorti conciliaboli: quale posto migliore di un wc a pagamento per scambiare soldi contro buste e pasticche? Il locale non è neanche troppo pulito e puzza di lisoformio in modo soffocante. Francamente, viene da schierarsi dalla parte dei barboni, quelli che la fanno contro il muro: 80 centesimi per una pipì, col calvario del cambio impossibile e gli spacciatori in conclave... è veramente troppo. Una volta, almeno alla stazione, i cessi erano pubblici e gratuiti e, da Roma in su, erano anche decentemente puliti. In questa città, duemila anni fa, un signore di nome Vespasiano decise di legare per l’eternità il suo nome al servizio del gabinetto pubblico, possibile che siamo retrocessi rispetto all’impero romano? Anche i bagni pubblici e gratuiti delle stazioni erano una forma di lusso non più sostenibile, per la serie: è la globalizzazione, bellezza? Forse sì, ma era anche una forma di civiltà. Di chi è la colpa? Inutile perfino chiedere, scatterebbe un cosmico scaricabarile. Ma una cosa è certa: l’alta velocità ferroviaria è bellissima, ma non a discapito del minimo garantito di civiltà.