Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 10/9/2010, pagina 80, 10 settembre 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
9 ottobre 1963
Morte per acqua
Se il bicchiere fosse pieno a metà o anche a tre quarti… Ma l’acqua arriva fino all’orlo e quando mezza montagna frana dentro l’invaso della diga del Vajont non c’è scampo. Una massa alta 250 metri, e larga quanto la diga stessa, la scavalca e precipita a valle. L’onda d’urto è pari a quella prodotta dalla bomba di Hiroshima e travolge tutto ciò che incontra: Erto e Casso, due paesini, vengono spianati. L’onda prosegue lungo il torrente Vajont che sfocia nel Piave. Il fiume si gonfia all’istante, la piena velocissima scende su Longarone e la mattina dopo, quando arrivano i soccorritori, la scena, sotto il sole, è placidissima: una distesa scintillante di fango. Non si vede un solo morto per il semplice motivo che sono rimasti tutti sepolti sotto uno strato alto due metri: le vittime saranno quasi 2000. Arrivano gli alpini, i mobilifici della zona apprestano in due giorni le bare, ma poche salme sono identificabili, le altre vengono calate in lunghe fosse anonime. Partono le inchieste: è infatti chiarissimo che non si tratta di un disastro naturale. Il monte Toc era noto a tutti per la sua friabilità e nel corso degli anni diversi geologi avevano compiuto simulazioni minacciosissime. Ma il progetto, che risale ai primi anni ’40, va avanti comunque. I dubbiosi vengono ignorati o zittiti, la società costruttrice, la SADA, vuole vendere all’Enel il suo bel bicchiere colmo di ghiotte ricadute economiche. Inutile dire che il processo si trascinerà per anni, che le pene per il «disastro colposo plurimo» saranno lievi, che i paesi distrutti verranno ricostruiti con criteri molto discussi, che i pochi superstiti saranno risarciti più o meno adeguatamente.
Il Vajont non è l’unica sciagura acquatica dell’epoca. A Firenze, nel 1966, la pioggia fa tracimare l’Arno che invade la città spazzando via, oltre ai mobili del tinello, insostituibili tesori conservati nelle chiese e nelle biblioteche della capitale del Rinascimento: finiscono a galleggiare sull’acqua marrone all’altezza del secondo piano. Giovani di ogni parte d’Europa accorrono per salvare il salvabile e molto viene infatti recuperato. La retorica che sempre circonderà il contributo dei «capelloni» rischia di guastarne il ricordo, ma certo in quei giorni molti adulti scoprono che la sensibilità dei figli non è incompatibile con la lunghezza delle loro chiome. I soccorsi cedono poi il posto alle inchieste, che sono approfondite anche qui, ma alla fine la rassegnata conclusione: chi poteva prevedere tutta quella pioggia? Per fortuna lo spiritaccio toscano regge degnamente alla prova. Sulla porta di una trattoria viene affisso questo cartello: «Oggi niente arrosto. Tutto in umido».