SARA RICOTTA VOZA, ALESSANDRO BARBERA, La Stampa 10/9/2010, pagina 20, 10 settembre 2010
La rivincita del ragioniere (2 articoli) - Se Fantozzi sentisse la notizia alla tivù salterebbe sulla sedia e prenderebbe la solita, mostruosa, craniata
La rivincita del ragioniere (2 articoli) - Se Fantozzi sentisse la notizia alla tivù salterebbe sulla sedia e prenderebbe la solita, mostruosa, craniata. Dopo anni di umilianti inchini di fronte a cognomi preceduti da «dott.», «ing.» o più siderali «comm.», «cav.», «prof», oggi avrebbe la sua piccola rivincita: il suo titolo di «rag.» è il più richiesto dalle aziende milanesi, che è come dire la megagalassia del Lavoro. Lo dice la Camera di Commercio di Milano su dati relativi alle previsioni di assunzioni per il 2010. Le richieste sono state ben 8.980, e vuol dire che se un’impresa assumerà quest’anno, per il 20 e passa dei casi saranno ra-gio-nie-ri. È la riscossa trionfale di Fantozzi e dei suoi studi, così penalizzati da un’immagine che li associava sempre a posti «tragici», scartoffie «infernali», colleghi inguardabili e ferie con nuvola incorporata. Un rilancio professionale in grande stile che ha ovviamente le sue buone ragioni. Quali? Il fatto che i ragionieri possono entrare subito nel mondo del lavoro; che son pochi; che le aziende hanno bisogno di avere figure remunerate non in modo esagerato ma in grado di svolgere un mare di mansioni. «Nel panorama italiano è uno degli indirizzi più spendibili nel mondo del lavoro», conferma Massimo Ferretti, vicepreside dell’Istituto Cardano per Ragionieri e Geometri di Milano, che si trova spesso a dover rispondere alle aziende che chiedono i curricula dei diplomati. «Quelli che hanno appena iniziato saranno però gli ultimi col profilo del “ragioniere classico”». La riforma attuale cambierà infatti un po’ le materie di studio e il buon vecchio ragioniere appena riscoperto diventerà un esperto di «Amministrazione Finanza e Marketing». «Il vantaggio di questi studi era anche che avevano caratteristiche spiccate, ora le ditte potrebbero rivolgersi non più al diplomato ma al laureato breve». I ragazzi, però, non sembrano avere lo stesso entusiasmo dei potenziali datori di lavoro. «Non c’è certo un boom di iscrizioni», spiega Ferretti, «c’è stato negli anni Ottanta poi è cominciato il calo perché tutti volevano la laurea e allora si iscrivevano al liceo». Ma se i giovani snobbano, c’è una seconda chance anche per i ragionieri che come Fantozzi hanno raggiunto l’agognata pensione o per quelli che invece sono stati espulsi prima, causa crisi. «Il profilo del contabile già formato e già autonomo è tra i più richiesti assieme a quello della segretaria generica», confermano da una delle tante filiali Manpower del centro di Milano. Il problema, insomma, sembra essere solo d’immagine; poco glamour per attirare i giovani. Ma col rilancio professionale come spesso accade è arrivato anche quello estetico. E non è un caso che in questi ultimi anni la figura dell’impiegato - e proprio quello caricaturale, serioso, anche un po’ occhialuto e grigio - abbia ispirato tanta moda. L’anno scorso al Pitti Uomo il fashion Designer newyorkese Thom Browne ha portato 40 modelli vestiti e pettinati tutti uguali come «topini d’ufficio»: capelli lisci di gel, completi slim, grandi occhiali. In America li chiamano «geek» e sono una forte icona fashion, cultori del revanscismo di Clark Kent su Superman. E pure Prada, alle sfilate della primavera-estate del 2011, ha mandato in passerella frotte di impiegati in divise sartoriali in tutte le sfumatire gerarchiche del grigio/blu. Chissà se piacerebbero a Fantozzi, che non avendo mai accettato «il concetto dell’abito di mezza stagione» amava sfoggiare pesantissimi spigati siberiani, cravattoni di nodo sbagliato, e scarpe nuove strettissime, «che avevano un’espressione umana». SARA RICOTTA VOZA *** Ci vuole arte nei bilanci - Perché commercialisti e ragionieri sono tanto ricercati? «Perché sono la figura fondamentale nelle imprese: chi maneggia i conti è il vero capo-azienda. Ed è un lavoro in cui non ci si annoia mai». Il mestiere di Ragioniere generale dello Stato non è precisamente quello che si svolge nel classico studio professionale. Ma i ferri del mestiere sono gli stessi: partita doppia, stato patrimoniale, ammortamenti. Dopo tre lustri al ministero del Tesoro Andrea Monorchio quei concetti li maneggia ancora come consigliere di amministrazione e membro del collegio sindacale di diverse aziende. Dice la Camera di Commercio di Milano che il mestiere del ragioniere è ricercato. Come se lo spiega? «Compilare un bilancio può sembrare una banalità, un gesto meccanico. E invece è interessantissimo, perché il bilancio è il luogo delle scelte strategiche di un’azienda». Ovvero? «Pensi agli ammortamenti: decidere a priori quale sia o meno il grado di obsolescenza dei macchinari di un’azienda è fondamentale. Altrettanto decisivo è stabilire gli accantonamenti. Un bravo ragioniere di un’azienda che esporta deve essere in grado, ad esempio, di prevedere il rischio di cambio per l’anno successivo». In Italia ci sono migliaia di imprese piccole e piccolissime. Forse è una professione di cui c’è bisogno perché in quel tipo di imprese mancano le persone capaci di far di conto? «Non c’è dubbio. La gran parte dei piccoli imprenditori non sa nulla di dati finanziari ed economici. Il contabile, sia un suo dipendente o meno fa poca differenza, è una specie di gran consigliere che lo indirizza verso le scelte più oculate. Tutto quel che si decide in un’azienda va a bilancio: i mutui, gli investimenti, le ristrutturazioni. Il bilancio è il biglietto da vista delle aziende agli occhi delle banche: a seconda di come lo si redige, si può ottenere più o meno linee di credito». Poi c’è la voce imposte e tasse. «Quella è la più decisiva di tutte. Saper usare le leve del fisco nei bilanci è un’arte». Durante un interrogatorio sul crack Ferruzzi il gran capo di Mediobanca Enrico Cuccia disse: “Non ho mai visto un bilancio regolare in vita mia”. «In un certo senso è vero: Cuccia voleva dire che in ogni bilancio esiste un grado di discrezionalità, che è quello cui accennavo prima. Per di più le regole del bilancio civilistico non coincidono con quello fiscale. Il contabile, e solo lui, è in grado di stabilire fin dove le regole sono rispettate e dove le si travalica. E’ per questo che è così decisivo». ALESSANDRO BARBERA