Marco Alfieri, La Stampa 10/9/2010, pagina 1, 10 settembre 2010
Pd, ingorgo nel salotto ambrosiano - Ingorgo in salotto, ironizzano a Milano. Dopo l’avvocato (Giuliano Pisapia) e l’architetto (Stefano Boeri), ecco scendere in campo il giurista (Valerio Onida) per le primarie di coalizione, in vista delle Comunali 2011
Pd, ingorgo nel salotto ambrosiano - Ingorgo in salotto, ironizzano a Milano. Dopo l’avvocato (Giuliano Pisapia) e l’architetto (Stefano Boeri), ecco scendere in campo il giurista (Valerio Onida) per le primarie di coalizione, in vista delle Comunali 2011. Una decisione ratificata l’altra notte dall’assemblea di «Milano Riparte», il comitato di professionisti e intellettuali milanesi (tra cui Borrelli, Bragantini, Eco, Ranci e Guido Rossi) che ha spinto il costituzionalista a correre invece che concentrare gli sforzi su Boeri, a sua volta sollecitato da un pezzo di quello stesso mondo incarnato dal comitato. La candidatura Onida era nell’aria: la scelta Pd di mettere cappello sul nome dell’architetto ha fatto scattare il riflesso antipartitico che cova in pezzi di ceto medio riflessivo ambrosiano. Basti dire che molto del dibattito, l’altra sera, è girato morettianamente intorno al rovello se fosse meglio fare gli intransigenti sui valori lanciando Onida oppure convergere subito su Boeri, che dà più garanzie di potersela giocare contro Letizia Moratti. Ha vinto a mani basse la prima opzione, destinata ad infiammare il centrosinistra: alle primarie di metà novembre correranno infatti tre personaggi in parte sovrapponibili. Già domenica la direzione Pd, chiamata a ufficializzare l’appoggio a Boeri, si troverà da gestire la spina Onida, intenzionato a portare al tavolo una proposta di regolamento delle primarie più aperto e meno blindato di quello confezionato dalle segreterie dei partiti. I tre candidati sono molto conosciuti nella Milano che conta, un po’ meno in periferia. Un finale che qualcuno nel centrosinistra, come Riccardo Sarfatti, avrebbe voluto diverso, capace di esprimere fin dalle primarie un candidato superpartes a egemonia netta. Invece si andrà alla conta «cannibale», non senza mal di pancia: un pezzo di cattolici Pd a disagio nel nuovo corso socialdemocratico bersaniano deciso a convergere su Onida; e il mondo ex girotondino, pro Costituzione e dei salotti radical chic, che si dividerà tra Pisapia e il giurista «contro il Boeri degli affari», come lo apostrofa un esponente dell’Idv, in bilico se candidare anche un loro uomo o appoggiare il costituzionalista. Evidente poi l’imbarazzo democrat davanti ad un dualismo Boeri/Onida che rischia di lacerarli, favorendo l’avvocato ex Rifondazione su cui punta la sinistra/sinistra. Risultato: siamo alla borghesia progressista che va al derby delle primarie. Lasciando alla finestra una classe politica incapace di esprimere un solo candidato ai nastri di partenza e, dopo Tangentopoli, al carro della società civile ogni volta che si arriva al voto in città. Storia vecchia, si dirà. La retorica della società civile, e il sottotesto di considerarne i salotti la sintesi esemplare, è probabilmente l’ultima ideologia inventata dal capoluogo lombardo. Nasce nei primi Anni Ottanta in rivolta al malcostume della cosiddetta «Milano da bere». È in quel lustro di passaggio dal fordismo all’imprenditorialità diffusa che s’avanza una nuova borghesia minuta, dinamica, parcellizzata. Una nuova città più molecolare, meno inquadrabile nei vecchi schemi della rappresentanza politica che tende a soppiantare il ruolo delle grandi famiglie e dell’aristocrazia operaia, e che ha il suo pendant nella rivolta etica di pezzi di patriziato cittadino che si saldano alla cosiddetta borghesia intellettuale. La svolta arriva nel 1985 con la nascita del Circolo Società civile, animato da Nando Dalla Chiesa. Lo slittamento ideologico nella sfera pubblica si ha invece con Tangentopoli, che per Società civile rappresenta una liberazione contro la «città di Craxi», il monopolio socialista a Palazzo Marino, gli imprenditori (Ligresti e Berlusconi), i grandi medici (Veronesi) e gli stilisti (Trussardi) di corte. Grosso modo da quel momento, il dibattito pubblico a sinistra sarà dominato da questo sottofondo tenace. Tangentopoli passa, ma non la concezione di una società civile fattasi nel frattempo categoria dello spirito. Chi comincia a fare politica in quegli anni nella sinistra milanese ne è completamente influenzato. L’ostracismo all’ipotesi di candidatura a sindaco di Umberto Veronesi, nel 2006, nasce esattamente da quel grumo, dal suo essere stato socialista. Liquidato come un affarista, nel silenzio della Quercia e della Margherita. Critiche in fondo simili a quelle che oggi un pezzo di sinistra ambrosiana rivolge a Stefano Boeri, reo di aver lavorato per Salvatore Ligresti. «Milano resta la città di Carlo Porta – chiosa Piero Bassetti - che aveva anticipato bene questa febbre gauchiste: che altro è il suo Giovannin Bongee quando dice “le ho prese ma gliele ho dette...”? Per Bassetti, solo emancipandosi da questa schiavitù della testimonianza, «il centrosinistra tornerà competitivo, dopo quattro sindacature perse di fila...». Ce la farà questa volta?