Giorgio Dell’Arti, Panorama senza data, ma 1997, 10 settembre 2010
Racine. Sarà elegante essere minuziosamente informati sui nomi di Garboli, Scaraffìa, Madame Boudin, M
Racine. Sarà elegante essere minuziosamente informati sui nomi di Garboli, Scaraffìa, Madame Boudin, M.lle Molière e magari anche su quello della celebre ruffiana Châteauneuf? Voglio dire: sapere di chi si parla e sapere in che modo questi nomi sono collegati tra loro? Saperlo significa che si leggono i giornali con attenzione maniacale, persino nei tagli bassi delle pagine culturali, e che poi si vanno addiritturaa comprare i libri di cui in questi tagli bassi ci parlano i giornali. Questo è un buon segno? L’uomo, la donna davvero di mondo fanno così? O non sarà sublime in casi come questi cadere dalle nuvoole, far finta di niente, mostrare di non voler parlare e solo alla fine, quando tutti ci avevano preso per degli ignari, far cader lì, con noncuranza, la domanda: «Ma non era di Racine?» Quel che c’è da sapere. Cesare Garboli fa uscire adesso da Adelphi La Famosa Attrice, un testo del Seicento che spettegola sulla moglie di Molière e, spettegolando, ci mostra uno bello spaccato di quell’epoca e dei suoi teatranti, dato che la moglie di Molière era attrice pure lei e sposata a un attore sia in prime nozze (Molière, appunto) che in seconde (il Guérin). Garboli è un illustre collaboratore de “la Repubblica” e ha fatto in modo che il primo giornale a parlare del libro fosse il suo. Ha proibito perciò che le bozze del saggio andassero in giro («io non amo che i miei libri siano letti in bozze») e ha concesso una sola intervista: a Francesco Erbani di “Repubblica”. Il “Corriere della Sera” non se n’è dato per inteso, ha cercato di ottenere le bozze dalla Adelphi attraverso il suo collaboratore Scaraffìa (Garboli definirà “querule telefonate” le sue richieste), non c’è riuscito e quando il nemico “Repubblica” è andato in edicola con l’intervista esclusiva, Scaraffìa ha attaccato Garboli, e di brutto. Il punto è questo: storici e filologi dibattono da sempre su chi sia l’autore del libello La Fameuse Comédienne e Garboli ha detto infatti a Erbani che «non ci sono prove filologicamente sufficienti per un’attribuzione» e che «la paternità va lasciata in sospeso». Qui è entrato in campo Scaraffìa: eh no, ha scritto sul “Corriere”, alla Bibliothèque Nationale di Parigi il libro è schedato sotto il nome di madame Boudin «che non può essere un nome d’arte». Titolo (basso, ma a otto colonne) sul pezzo di Scaraffìa: «La nemica di Molière si chiamava Boudin. Ma Garboli non lo sa» (noterete che il titolo è sbagliato e se vi capita ditelo: la nemica non è nemica di Molière, ma di sua moglie). Ora tutto questo è accaduto prima che il libro arrivasse in libreria e senza dunque che Scaraffìa lo avesse letto, cioè Scaraffìa ha attaccato Garboli basandosi solo sull’intervista a Erbani. E così, quando poi il libro s’è potuto prendere in mano e leggere, s’è visto che Garboli sapeva (ovviamente) benissimo la faccenda Boudin e che l’aveva discussa nel paragrafo 13 della Prefazione (da pagina 63 a pagina 69). Perché dunque Scaraffìa si è così esposto attaccandolo? E, soprattutto, qual è la vera ragione per cui Garboli non gli ha mandato le bozze? Le Fameux Professeur. Si deve ancora sapere che Garboli ha risposto a Scaraffìa chiamandolo “nessuno” su “Repubblica” e dicendo alla “Stampa”: «Io credo che il collaboratore del “Corriere” abbia voluto rendere un servizio a qualcuno». Se la vostra conversazione è arrivata fino a questo punto, potrete brillantemente chiedere: se Scaraffìa è nessuno, perché Garboli se l’è presa tanto? Inoltre: chi potrà essere il “qualcuno” al servizio del quale, nella mente di Garboli, Scaraffìa s’è posto? Stiamo entrando in una zona (come direbbe Garboli) “infetta” e sarebbe bene per tutti cambiare discorso. Ma se il salotto insiste, ricordate che i francesisti non sono meno rissosi degli italianisti (state alludendo alla rissa ancora in corso all’università di Roma tra il professor Asor Rosa e il professor Ferroni) e che però lo Scaraffìà del “Corriere”, ancorché accoppiato in televisione con la figlia di Ronchey (“Corriere” e “Stampa” messi insieme), è poi sposato con la Daria Galateria, una francesista così francesista che sembra essere uscita direttamente dalle pagine di Saint-Simon. Costei però collabora con “Repubblica”, anche se ha steso a suo tempo le note per il Proust tradotto da Raboni (“Corriere della Sera”). Può essere Raboni il “qualcuno” garboliano? O non sarà magari il sommo, intoccabile Macchia (un nome da pronunciare abbassando la voce), collaboratore del “Corriere” e citato ben due volte da Scaraffìa nella sua replica? Pettegolezzi. Come avrete capito, se capita nella conversazione questo argomento, trovate una scusa e andate di là a prendervi un altro tramezzino. Tornate quando il salotto avrà ripreso a discutere la crisi del Milan. Però comprate il libro e annotatevi da pagina 102 questa perla, che magari vi verrà utile più in là, in qualche altro salotto: «Fra il pettegolezzo e la verità c’è una parete sottile, sottilissima ma imperforabile, una striscia di terra di due, tre centimetri impraticabile come uno spiazzo stellare. Tutto è vero e niente lo è. I pettegolezzi dicono quasi sempre la verità sulle cose che accadono, ma le cose non accadono mai come i pettegolezzi ce le raccontano. La vita cammina, la nostra e quella degli altri, e nessuno ne sa niente».