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 2010  settembre 10 Venerdì calendario

Paolo Villaggio compagno di scuola di Paolo Fresco, nuovo presidente della Fiat

Signor Villaggio, leggiamo sui giornali che lei è stato compagno di scuola di Paolo Fresco, l’uomo che prenderà il posto di Romiti come presidente della Fiat.
«Sì, è vero, ero in classe con lui».
Compagno di banco?
«No, io ero in banco con Molinari, Fresco stava con mio fratello Piero al centro e dall’altra parte c’erano Saccomanno e Migliardi. Era la prima fila, proprio sotto la cattedra. Le faccio il disegno sul quaderno (esegue)».
Come mai Fresco stava in prima fila? Lo si descrive come un uomo alto, forte come una sequoia.
«Ma cosa vuole, a quell’epoca eravamo tutti piccolini».
Calzoni corti?
«Calzoni corti. Poi i pantaloni alla zuava. Poi i pantaloni lunghi. L’ingresso in classe di Saccomanno con i pantaloni lunghi suscitò un boato. La madre glieli aveva fatti mettere troppo presto, si trattava di un’emancipazione esagerata».
Questa scuola in cui stavate insieme era il liceo Doria di Genova?
«Sì. Liceo classico».
Liceo importante?
«L’altro liceo classico, cioè il Cristoforo Colombo, era vagamente inferiore. L’Arecco dei gesuiti non contava: i suoi studenti erano iperprotetti. Lo scientifico naturalmente stava dietro. Sì, il Doria era la scuola della borghesia più qualificata e intelligente».
Ricca?
«Benestante. Mio padre era un progettista del cemento armato. La Fiera del Mare, il Palasport di Pier Luigi Nervi. Migliardi era figlio di un grande patologo. Il padre di Fresco era direttore della Banca Commerciale. Saccomanno... non me lo ricordo. Il padre era funzionario di qualcosa. La Carrà me lo fece incontrare nel suo programma di sorprese».
Ah sì? E la sorprese davvero?
«Fino a un certo punto. Siccome il fonico gira con i microfoni da attaccare, uno la sorpresa vera ce l’ha dietro le quinte. Io Saccomanno lo vidi prima. Fu commovente in ogni caso, sì».
Classi miste?
«No, le classi miste c’erano solo alle medie. Dal ginnasio in poi maschi da una parte, femmine dall’altra. Le ragazze erano tutte brutte. Tranne quelle due-tre, che però amavamo tutti quanti».
Marinavate la scuola?
«Sì, certo».
Fresco marinava la scuola?
«Marinavamo senz’altro noi della prima fila, cioè io e mio fratello, Molinari, Saccomanno, Migliardi e Fresco. Andavamo a fare i bagni a San Giuliano o agli scogli di Nervi. Bisognerebbe riavere per un minuto qui gli anni Cinquanta. Un mare senza l’inquinamento degli scarichi industriali, le nostre teste senza l’inquinamento della televisione. Non eravamo tutti uguali come sono adesso, cioè omologati. Ognuno di noi era un universo, una galassia. E intorno a noi, pulito. Di notte si vedevano anche le lucciole».
Uno guardava Fresco e che cosa pensava che sarebbe diventato?
«Quello che è poi diventato: un avvocato».
Era il primo della classe?
«No, il primo della classe era mio fratello. Lei sa che io ho un fratello gemello».
Sì.
«Siamo nati tutti e due il 30 dicembre del 1932. Fresco invece è del ’33... giugno?» Luglio. Dodici luglio del ’33.
«Appunto. Alla maturità mio fratello tradusse la versione di greco direttamente in latino, e quella di latino in greco. Non c’era alcun bisogno, ma l’enorme timidezza che aveva dentro lo spingeva a queste buffonate, a queste vanterie. Un clown nato. Oh mi creda, mio fratello sarebbe stato un meraviglioso presentatore del Festival di San Remo».
Che cosa fa adesso?
«Insegna Scienza delle Costruzioni alla Normale di Pisa».
Siete in buoni rapporti?
«Non lo vedo da quarant’anni».
Era timido anche lei?
«Le ragazze...»
Era timido anche Fresco?

«Ma lei, scusi, non capisce, relativamente a questa generazione di adolescenti degli anni Cinquanta, che non si trattava semplicemente di timidezza, ma di un enorme macigno posto sui nostri cuori, un macigno che ci impediva di parlare, mi riferisco, naturalmente, alle compagne di scuola. Scrissi una lettera d’amore a una compagna di scuola e lei la mattina dopo, nell’intervallo della ricreazione, mi venne incontro con un sorriso da paradiso terrestre. Fissandomi negli occhi e aprendosi un poco il sopra del grembiale nero, disse commossa sottovoce: “Ho messo qui la tua lettera, sul cuore...”. E io risposi brusco: “Quale lettera?”»
Questa compagna di scuola che fine ha fatto?
«Il marito mi ha scritto che è morta di tumore».
Fresco...
«Lei mi torna continuamente su Fresco, ma io non posso separare Fresco dagli altri compagni, da tutta la classe. Dietro Fresco stava seduto Bonomonte. I compagni sono una cosa sola, un solo flusso, entrano ed escono di continuo dalla mia testa, senza differenze, quelli che sono finiti bene e quelli che sono finiti male. Questo qui che vede qui in foto e di cui non le dico il nome finì male: aveva imparato a memoria “O donne di Trezene, ch’abitate questo estremo vestibolo della terra di Pelope, già altre volte imparai quanto sia corrotta la vita dei mortali...”. Andò all’esame avendo messo un piccolo segno nel libro su quel punto preciso delle donne di Trezene e quando il professore lo fece venire alla cattedra e gli disse: “Apri a caso e traduci” lui aprì a caso e credeva d’aver aperto là dove aveva messo il segno e perciò attaccò “O donne di Trezene, ch’abitate...” e il professore, pur sonnecchiante, diede un’occhiata alla pagina e fece: “Ma che stai dicendo?” e quello, resosi conto a un tratto che non stava, nel libro, dove credeva di essere, s’afflosciò su se stesso, cadde svenuto a terra. Io e Fresco eravamo al primo banco a guardare, pallidi per la paura».
Cos’erano quelle donne di Trezene?
«Il coro dell’Ippolito di Euripide. Ma ascolti: “Cadde il ferito nella sabbia e altèro sclamò sovr’esso il feritor divino...”»
L’Iliade. So anch’io un po’ di Iliade : “Sorrise Ettorre nel vederlo e tacque ma di gran pianto Andromaca bagnata...”
«So l’Iliade a memoria! La so quasi tutta!»
Io no.
«Lei non sa perché la so! Mi ascolti! Andavamo a giocare a pallone al campo della Nafta a San Martino. Un campo con l’erba. Io, sampdoriano, centravanti; mio fratello, juventino, mezzala destra; Fresco, interista, terzino sinistro...
 È mancino?
«Sì, è mancino. Giocavamo, e mio fratello veniva con noi a un solo patto: che durante il gioco tacessimo! Che tacessimo tutti! Non ho bisogno di dirle che, così com’era il primo della classe, giocava al calcio meglio di tutti noi, lanciava, stoppava, palleggiava e crossava e intanto, correndo a perdifiato, declamava ad alta voce per un minuto di fila: “Cadde cadde cadde cadde cadde cadde cadde cadde...” e finito il minuto “cadde il ferito cadde il ferito cadde il ferito cadde il ferito cadde il ferito cadde il ferito” e finito il secondo minuto “cadde il ferito nella sabbia cadde il ferito nella sabbia cadde il ferito nella sabbia cadde il ferito nella sabbia” sicché alla fine delle tre ore di gioco, quando era ormai buio e tornavamo a casa col tram elettrico, sporchi e ansimanti, sapevamo tutti a memoria il pezzo dell’Iliade! Lo sapevamo tutti! Ecco perché io Fresco Molinari mio fratello Saccomanno sappiamo l’Iliade! Ecco cos’erano gli anni Cinquanta, l’epoca più felice che l’Italia abbia mai avuto!»
Non posso stare dietro a tutte queste nostalgie. Mi dica che cosa ha capito dell’incoronazione del suo compagno di scuola Paolo Fresco a presidente della Fiat. «Non crederà che Paolo abbia accettato per la carriera?»
No?
«Ma lui, da un punto di vista di carriera, ha fatto un passo indietro! La General Electric, di cui è vicepresidente, vale dieci volte la Fiat! Un vicepresidente di General Electric vale cinque volte un presidente della Fiat!».
Allora non me lo spiego.
«Abbiamo 65 anni. E lui ha vissuto trent’anni a Londra. E poi a New York. Quando stava a New York, tutte le mattine lo venivano a prendere in elicottero per portarlo nel suo ufficio in Massachussets. E la sera, ancora elicottero per tornare a casa. Stando laggiù, e facendo quella vita, con quel clima freddo, con quei paesaggi di cemento, ha mitizzato l’Italia. Andare al mare il sabato, vivere a Firenze! Ha comprato la villa dei Pontello a Fiesole e dice che Firenze è la più bella città del mondo. È venuto in Italia perché vuole invecchiare bene e in nessun posto al mondo si può invecchiare bene come qui».
Non si starà sbagliando? L’Italia è ancora così bella?
«La qualità della vita in Italia è ancora straordinaria. Città come Parma, come Venezia... Lui, che è stato sempre all’estero, ha una percezione esatta di questo. Noi, che ci viviamo dentro, non ce ne rendiamo più conto. Abbiamo torto noi: sì, il traffico di Roma è ripugnante, ma questo nostro continuo esclamare: “Ah, come sarebbe bello vivere a New York!”, “Ah, quasi quasi me ne vado a Ginevra!”. Non regge. Sa che cosa avrebbe potuto legarlo all’Inghilterra o all’America?»
Cosa?
«I figli. Ma non ne ha. Lui e la moglie Marlene non hanno figli. Dunque perché non tornare? Perché non invecchiare dolcemente?».
Che cosa crede di fare una volta qui? Si rende conto delle differenze tra l’Italia e l’America?
«È molto preoccupato».
Dunque si rende conto delle differenze tra l’Italia e l’America.
«So che è cosciente di una differenza. Non sono sicuro che sappia quanto è profonda».
Per esempio le aziende italiane, compresa la Fiat, sono ricche perché lo Stato le ha sostenute in ogni modo. Non si sa come sarebbe andata per molte di loro in un mercato davvero privato.
«Questo lui lo sa. Questo è un punto che lui vorrà cambiare. La presenza dello Stato gli dà fastidio».
Le sembra possibile? È cosciente di che cosa significa, in Italia, essere presidente della Fiat?
«Forse lui non ha ben chiaro tutto il sistema delle gerarchie in Italia. Del resto, neanche gli altri hanno l’aria di aver capito bene con chi avranno a che fare. Agnelli per impressionarlo lo mandava a prendere a Cortina con l’elicottero. Non sapeva che lui con l’elicottero ci andava in ufficio tutti i giorni».
Agnelli aveva bisogno di impressionarlo?
«Non le ho detto che andando alla Fiat Fresco scende di livello? Agnelli poi è un piccolo uomo, molto pettegolo, molto snob, di cui gli italiani sono innamorati a torto. Il principe Carlo va a trovare Bona Frescobaldi a Firenze e, guarda il destino!, dopo un po’ arriva anche Agnelli che passava di lì per caso».
Lei vuol dire che il nostro sistema - politico e finanziario - avrà difficoltà a digerire un presidente della Fiat così.
«Sì. La Marina Lante della Rovere, la Marta Marzotto, appena seppero che io ero suo amico fraterno, mi cominciarono a tempestare: “E portacelo! E portacelo!” E io gliel’ho portato».
E lui?
«Non gliene fregava niente. Quelle: ciccì di qua, ciccì di là. E lui niente».
Perché?
«Ma non sapeva neanche chi erano. In effetti: ma chi sono?»
Capisco bene se dico che è un personaggio più simile a Berlusconi?
«Ma certo».
Che avrà difficoltà ad amalgamarsi col nostro sistema politico esattamente come ce l’ha avuta Berlusconi?
«Sì, con la differenza che Berlusconi è un uomo sleale e bugiardo, che per il potere sarebbe capace di qualunque cosa. Mentre Fresco no».
Le leggo dai miei appunti questa frase attribuita a Fresco: “Su un milione di fatture se ne possono sbagliare quattro”. Corrisponde?
«Forse».
Ancora: “Alto e bello come una sequoia”?
«Ah ah».
Alla General Electric ha tagliato 150 mila posti di lavoro...
«Questo sì. Verrà in Fiat e disboscherà, razionalizzerà, spazzerà via camarille, consorterie...»
Non governerà mica da solo, ci sarà come minimo anche l’amministratore delegato Paolo Cantarella...
«Ma guardi che non c’è dubbio che lui ha chiesto carta bianca, carta bianca assoluta...»
E allora senta ancora qui: case alle Seychelles, a New York, a Londra, a Cortina, a Firenze. Hobby: scalare le Dolomiti, cacciare pescecani. “L’Espresso”: “Un tycoon all’americana che guadagna più di sedici miliardi l’anno, che fa il breakfast a Tokio e la cena a New York, viaggiando con il suo jet dall’enorme camera da letto e dalla grande cucina dove lavora il cuoco personale...”
«Ascolti, io dico che Fresco è migliore di come lo descrive “L’Espresso”. Nella sezione C, al “Doria”, c’era un Vincenzo Adamoli, figlio dell’Adamoli sindaco di Genova, che noi chiamavamo Ciutto. Una sera sotto casa mia in corso Italia lui e Fresco si mettono a discutere delle macchine che passano, se siano meglio le Dodge o le Mercedes, discuti che ti discuti a un certo punto Fresco gli dà una sberla, quell’altro gli risponde con un cazzotto, cominciano a prendersi a calci nel culo, pugni, si pestano di santa ragione, avranno cominciato alle dieci di sera e avranno finito alle due di notte, si fermavano per tirare un po’ il fiato, stavano un po’ a guardare le stelle e poi riattaccavano, pum e pum, alla fine andammo a prendere il gelato al bar Cocco».
Saranno diventati amici.
«Non si prendevano, se io gli dicevo che a una certa festa c’era anche il Ciutto, Fresco storceva la bocca e viceversa. Questo ancora prima della scazzottata».
Feste? Erano feste da ballo?
«Sì. Soprattutto a casa di Fresco...»
Come mai a casa sua?
«Le faceva sua sorella Giuliana, che adesso fa la pittrice e sta a Londra, era più piccola di noi e organizzava queste feste con il grammofono “La voce del padrone” e i dischi neri che suonavano. Per esempio, mi faccia pensare, “La Raspa” tàttara tàttara. Oppure “Tea for two”, tì - fotù, taràn - taràn...»
Dove aveva casa?
«In viale delle Brigate Partigiane. Belle feste. Si cominciava alle due del pomeriggio e la sera alle sette, sette e mezza si finiva perché le ragazze non potevano tornare troppo tardi».
Non vi imbarazzava ballare?
«Mio fratello si metteva in un angolo con la faccia contro il muro. Avevamo questo macigno sul cuore. Aspettavamo che una di quelle ragazze, una di quelle ragazze a cui scrivevamo delle lettere che subito ripudiavamo, si avvicinasse a noi, ci prendesse per mano e ci portasse a ballare, senza chiederci niente, ma solo dicendoci: “Anch’io ti amo come tu mi ami e sono capace di fare un giro lungo per incrociarti lungo la via e fissarti un momento negli occhi, e magari di tornare anche indietro per incrociarti una seconda volta, e se ti vedo il cuore mi batte forte...” Cose che abbiamo aspettato tutta la vita di sentirci dire e che le ragazze non ci hanno mai detto. E perciò mio fratello, attualmente ordinario di Scienza delle Costruzioni alla Normale, si metteva con la faccia contro il muro, per la distanza incolmabile che c’era tra i sentimenti del suo cuore e la bocca che avrebbe dovuto esprimerli...»
Fresco ballava?
«Sì, ballava, come tutti noi, ansimando e con le mani spugnate».
Non è un conquistatore? Non si potrebbe definire un tombeur des femmes?
«Oh sì, si potrebbe. Quando venne a fare l’avvocato a Roma eravamo poverissimi, andavamo a mangiare in una certa trattoria in piazza Benedetto Marcello, tra l’altro facevano dei supplì...»
Che anni erano?
«Sarà stato il 1959, il 1960. A lui piaceva molto una miss Italia, Marcella Mariani, una poverina che è poi scomparsa in un incidente aereo. Era naturalmente bellissima e stavamo in questa trattoria a mangiar supplì e lui faceva: “Ma io le telefono, ma quasi quasi la chiamo...”. E Io: “Dài, chiamala...” Lui: “Io la chiamo e le faccio la voce...”»
Cos’è “la voce”?
«Voleva dire una voce profonda, importante, maschile, virile. Lui oltre tutto ha una voce forte, canta cori di montagna. Allora io dissi: “Andiamo a casa mia, ho una bella conca di rame con i fiori dentro, levo i fiori, tu infili la testa nella conca e parli, vedrai che ti viene una voce profondissima, impressionante”. Infatti andiamo a casa mia, io stavo allora in via Trionfale, lui mette la testa nella conca di rame, fa il numero e pronuncia la parola “Maarceeelllaaa”, tutto un suono basso ramato meraviglioso. Al che la ragazza dall’altra parte fa: “Ma Paolo sei tu? Ma che hai messo la testa in una conca di rame?”».
Ho visto questa scena in un “Fantozzi”.
«È vero, ma viene da quell’episodio di Fresco. E un’altra volta, stia a sentire, stavamo sempre nella trattoria dei supplì e lui stava con un’altra ragazza di cui non le dico il nome. Lui era molto preso da questa ragazza e a un certo punto invece s’erano lasciati e in trattoria lui diceva: “Quella non me la racconta giusta! Quella non me la racconta giusta!” Era certo che in quel momento, in casa con lei, ci fosse qualcun altro. Allora andammo a origliare».
A origliare?
«Sì. Ci piazzammo fuori del pianerottolo di lei, dove c’era un piccolo oblò dal quale si sentiva tutto quello che succedeva nell’appartamnento. Ci mettemmo ad ascoltare. C’era effettivamente un uomo con la ragazza e stavano tutti e due parlando male di lui. Allora Fresco mise la testa nell’oblò e gridò al loro indirizzo: “Ma non dite coglionate!”»
Proprio così?
«Proprio così: “coglionate”! Solo che poi non riusciva più a tirar via la testa e io e mia moglie lo dovemmo tirare per i piedi per una buona mezz’ora, quasi quasi stavamo per chiamare i vigili del fuoco».
Lo vede ancora?
«Sì, abbiamo tutti e due casa a Cortina e siamo stati insieme più di un mese l’anno scorso. Lo vedo sempre e non so dirle come sono contento di quello che gli è capitato, come sono felice, per lui e per gli italiani».
È vero che fa roccia, s’arrampica?
«È sportivo, si tiene in forma. L’anno scorso andammo in bicicletta insieme lungo il tratto San Candido - Lienz, 42 chilometri. Non si meravigli, è quasi tutta discesa e poi si torna in treno. No, aspetti, le devo prima dire di quando andavamo in montagna da ragazzi a Val Veny: si facevano le camminate e queste camminate a un certo punto diventavano delle vere e proprie corse, perché, un passo dopo l’altro, si accelerava e accelerando si finiva per correre».
Vinceva Fresco.
«No, vinceva mio fratello, ma Fresco era competitivissimo, voleva arrivar primo a tutti i costi e una volta alla fine della corsa aveva un rivolo di sangue all’angolo della bocca perché, pur di non cedere, s’era morso a un certo punto la lingua. Beh, l’anno scorso a San Candido partiamo per questa passeggiata verso Lienz e all’inizio si pedalava chiacchierando. Ma poi a un certo punto, non si sa come, nessuno dei due ha detto più niente, io sono andato un po’ più avanti, lui m’ha sorpassato, insomma ridendo e scherzando a un certo punto pedalavamo come pazzi, era diventata una tappa del Tour».
A sessantacinque anni. Bravi. Chi ha vinto?
«Al confine con l’Austria, dove non fermano mai nessuno perchè lo sanno che son tutti turisti a passeggio, i finanzieri italiani fermano invece proprio lui, che in quel momento mi stava cinque - sei metri dietro e non aveva documenti. E sa perché?»
Perché?
«Per domandargli: “Ma quello che è passato prima era Paolo Villaggio?” E lui ha risposto sìiiii e s’è buttato a inseguirmi».
Il nuovo presidente della Fiat... La tappa l’ha vinta lei?
«No. Ha corso come un forsennato e m’ha raggiunto. Gli è costato parecchio, ma alla fine ha vinto lui».