Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 08/09/2010, 8 settembre 2010
SOGNO UNA SARDEGNA INDIPENDENTE
Il suo telefonino, per ore, spento. «Può darsi voglia restarsene in santa pace, a godersi la vittoria del Campiello», ipotizzavano all’Einaudi. Alle quattro del pomeriggio, invece, chiama lei. «Mi sta cercando? Non vorrà mica farmi parlare ancora di politica, eh?...».
Michela Murgia è a Cabras (Oristano). «Sono tornata qui, a casa, perché in municipio hanno organizzato una seduta straordinaria della giunta che, credo, vorrà farmi un po’ di festa». A giudicare dal tono della voce, i titoli che i giornali le hanno dedicato negli ultimi due giorni, dopo la trionfale notte al Gran Teatro La Fenice, con la vittoria del suo Accabadora, non paiono averla scossa. «Piuttosto ho capito che, adesso, ogni mio ragionamento può diventare materia per un articolo». Specie se i suoi ragionamenti riguardano Silvio Berlusconi. «Su di lui ho detto ciò che penso: no, non sono pentita».
Il succo della riflessione fatta lunedì a Radio 24 è questa: «Il sogno segreto di Berlusconi è mandare via gli scrittori di sinistra: ci vorrebbe tutti letteralmente fuori dalle sue case editrici, così da poter pubblicare tutto quello che gli pare».
Insiste. «La verità è che quell’uomo non gradisce il dissenso. Del resto, cosa disse nel 2006?». Cosa disse? «La frase fu, più o meno, questa: "Chi non mi vota è un coglione"». Quindi lei sostiene che... «Che non appena s’accorge, intuisce che qualcosa o qualcuno cerca di scardinare il suo meccanismo di controllo padronale, compaiono le baionette». Lei sta usando una metafora forte. «Ma giusta, temo. Le sue baionette sono mediatiche, sono i mezzi di informazione. Visto cosa è capitato questa estate con Gianfranco Fini? Hanno cercato di usare, contro di lui, il cosiddetto metodo Boffo. Attacchi sistematici, diffamazione, demolizione».
Intervistare Michela Murgia è piuttosto semplice. Non si sottrae, non esita. Davvero: a domanda, risponde. Ed è assolutamente sorprendente il suo eloquio. Netto, chirurgico: come la sua scrittura. «Io lavoro con le parole. Ho il dovere di utilizzare quelle giuste. Per questo ho sottolineato che l’altra sera, a Venezia, nel corso della premiazione, Bruno Vespa ha usato quelle sbagliate».
Torna su una polemica divampata poche ore fa. «Perché purtroppo, alla fine, mi sembra che la questione principale sia diventata la scollatura della Avallone. Invece...». Continui. «Invece doveva restare centrale il linguaggio sessista di Vespa». Vespa si è spiegato. «Senta, abbia pazienza... Io so perfettamente distinguere la frase "sei magnifica" dalla frase "ragazzi, inquadratele le tette". E non c’ero solo io. C’era anche Lerner. Gad, ad un certo punto, si è voltato: e il suo sguardo era incredulo». Comunque Silvia Avallone non è sembrata particolarmente offesa. «E anche qui: premesso che la Avallone era in una condizione psicologica di sudditanza molto precisa e forte, lì, su quel palco così prestigioso, io credo che sia del tutto superfluo stabilire se la Avallone s’è offesa tanto o poco. Il punto, mi scusi, è un altro». Quale? «Non soprassedere su un certo sessismo, e sul suo conseguente linguaggio. Perché, vede: è proprio da certe frasi che poi si può arrivare a pronunciare...». A quali frasi sta pensando? «A quella che Berlusconi rivolse a Rosy Bindi, quando disse che era "più bella che intelligente". La matrice del linguaggio è la stessa di Vespa».
Michela Murgia ha 38 anni. La stessa età di Elisabetta Tulliani. «Una coincidenza che lei, suppongo, mi sta facendo notare perché vorrebbe un commento... Ma io non posso dirle nulla sulla signora Tulliani... Beninteso: ho letto tutto, so tutto... e però i miei sentimenti di donna, nei suoi confronti, non sono mossi né da solidarietà né da condanna. Perché quando una donna, come la Tulliani, decide di giocare in un certo modo, sa quali sono le regole del gioco, e lo sa da prima».
Michela Murgia ha 38 anni e un marito di 26. «Manuel. Ci siamo conosciuti a casa di amici e sposati un anno e mezzo fa. Lavora come informatico, ma è la prima intervista in cui mi si chiede notizie sul mio stato civile...». Di interviste ne ha rilasciate parecchie. Soprattutto dopo la pubblicazione del suo libro Il mondo deve sapere, da cui è stato tratto il film di Paolo Virzì «Tutta la vita davanti», tragicomica descrizione della vita quotidiana all’interno di un call center. Un luogo che la Murgia ha conosciuto, per sessanta giorni. «Sono un’ex precaria di successo. Ho fatto un mucchio di lavori...». Vari e non scontati: capo dell’ufficio amministrativo di una centrale termoelettrica, venditrice di multiproprietà, portiere di notte («che è un lavoro un bel po’ diverso da quello descritto nel celebre film di Liliana Cavani»), insegnante di religione.
Ha studiato Scienze religiose, non casualmente il suo prossimo libro «sarà un saggio socio-teologico, un’opera piuttosto pop, assai poco tecnica che, proprio per questo, verrà proposta da Einaudi nella collana Stile Libero: cercherò di accertare quanto, ancora oggi, pesa l’educazione cattolica sul modo che hanno le donne di percepirsi, e su come per questo vengono poi percepite».
Per scrivere ha bisogno di silenzio assoluto e dosi di cioccolata fondente. Stare seduta non le procura fatica. Allergica a qualsiasi sport, «detesto sudare», la sua grande passione, dopo la scrittura, è la politica. «Sì, e sogno la secessione della Sardegna... anzi, no, non scriva secessione: è un termine violento, che evoca uno spirito leghista, di frattura. Scriva invece che sogno l’indipendenza della Sardegna... perché la Sardegna, a differenza della Padania, non è una trovata economica, ma un luogo che esiste davvero, con una sua storia, una sua lingua, una sua necessità di autodeterminarsi senza però escludere, senza evocare terrori o paure, come fanno i leghisti, ma invece includendo, invitando, aspettando tutti nei nostri porti e sulle nostre spiagge».
L’aspettano in Municipio. «Sì, ma se vuole farmi un’ultima domanda...». Ecco: perché lei, quando parla degli altri scrittori sardi, cita sempre Flavio Soriga, Francesco Masala, Giulio Angioni e dimentica sempre Salvatore Niffoi? «Non lo dimentico, Niffoi. Semplicemente, non lo conosco... e poi...». E poi cosa? «Niffoi sarà forse conosciuto in Italia. Ma da noi, in Sardegna, lo scrittore più celebre e amato è Marcello Fois».
Fabrizio Roncone