Franco Brevini, Corriere della Sera 08/09/2010, 8 settembre 2010
IN BARCA CON LA CARABINA «LE PELLI VALGONO POCO ORA SIAMO NOI A RISCHIO» —
«Look, the seal» mi dice Tobias indicando con il braccio l’iceberg che ci sta di fronte. Ma io la foca non la vedo. Vedo solo il gigantesco blocco galleggiante, una delle tante montagne di ghiaccio che scivolano nella corrente del Polar Stream davanti alle coste orientali della Groenlandia. L’inuit ha già afferrato una delle carabine dal fondo della barca, prende lentamente la mira servendosi del cannocchiale fissato sopra la canna e spara. Il colpo risuona fragoroso nell’immenso vuoto di questo paesaggio primordiale, fatto di ghiaccio, roccia e acqua. Solo a questo punto vedo sobbalzare una piccola macchia nera. La foca stava distesa su un lastrone flottante alla base dell’iceberg. Tobias depone l’arma e si dirige verso il timone. Con il binocolo riesco ad avvistare il corpo insanguinato, che sussulta nell’ultima agonia.
Giunti accanto al lastrone, Tobias getta una specie di arpione sul tavolato nevoso per ancorare la barca. Poi sale a sua volta sul floe. La foca è ormai immobile. Con la sua pelle lucida e nera, sembra un sacco della spazzatura riempito d’acqua. Aiuto Tobias a caricarla sulla barca. La pelle è dura e viscida, tesissima sullo strato di grasso che difende l’animale dalle gelide acque sotto i nostri piedi, in cui un uomo sopravviverebbe solo pochi secondi.
Tobias è il più famoso cacciatore della costa Orientale, 2.800 km di nulla abitati da 3.000 inuit. Viene da Tasiilaq, il centro principale, dove nella scorsa estate gli inuit hanno manifestato contro Greenpeace. Per una mezza giornata le loro barche si sono strette intorno alla Arctic Sunrise, la nave della multinazionale ecologista. Al centro della protesta proprio la foca, di cui gli ambientalisti vogliono bandire la caccia.
«La civiltà inuit è da sempre legata alla foca — mi dice Tobias mentre beviamo una birra rientrando a Tasiilaq — siamo stati noi a consegnarvi il mondo artico, dove il nostro popolo è vissuto per secoli in equilibrio con la natura circostante. Ci fanno ridere gli ambientalisti che pretendono di venirci a spiegare cosa dobbiamo fare a casa nostra. Perché non cercano piuttosto di impedire le perforazioni delle multinazionali alla ricerca del petrolio? Perché non fanno qualcosa per ridurre il riscaldamento, che fa allontanare la banchisa dalla costa, causando la morte degli orsi e delle foche? Di solito la banchisa, dove le foche vivono e gli orsi cacciano, dista pochi chilometri da riva, ma con il riscaldamento ora è arretrata e si trova anche a centro chilometri. Ci è capitato di trovare in mare orsi e foche annegati, che non erano riusciti a raggiungere la banchisa a causa della distanza e del mare mosso».
La deroga che la legge prevede per gli inuit non risolve il problema. Il nodo della questione è il crollo del prezzo della pelle di foca. «Nel 2006 — mi fa notare Tobias mentre filiamo accanto a un iceberg con un gigantesco foro attraverso cui si scorge il cielo — ogni pelliccia sfiorava i cento dollari. Oggi, dopo il bando dell’Unione Europea, non raggiunge i dieci dollari. Immaginati se il tuo stipendio fosse improvvisamente ridotto a un decimo».
Un tempo gli inuit mangiavano la carne della foca, usavano il grasso per cuocere e illuminare le loro case, con la pelle si vestivano e fabbricavano i kayak. Oggi invece è la vendita delle pelli a fornire loro il denaro per i vestiti, le barche, il carburante, il riscaldamento delle loro case. I cacciatori le consegnano per questo all’azienda statale Great Greenland, che poi le immette sul mercato internazionale. Ma dal 2004 al 2007 le pelli commerciate sono scese da 120 a 67 mila e nei magazzini di Great Greenland al momento giacciono invendute 200 mila pelli.
La moglie di Tobias attende vicino agli scogli di granito del fiordo. La foca viene trascinata a terra, poi Tobias inizia ad aprirla con il suo coltello. Sotto lo strato di grasso, la carne è rossa e sanguinosa. «Scrivilo: la nostra caccia non minaccia le specie a rischio, foche, orsi polari e balene. Quelli che sono davvero minacciati siamo noi inuit. Se dovessimo sopravvivere solo grazie all’assistenza sociale, a morire sarebbe una civiltà vecchia di 40 mila anni. È questo che volete voi europei?».
Franco Brevini
DOVE SI CACCIANO - Il popolo Inuit ha beneficiato di una deroga da parte della Comunità Europea circa la possibilità di dare la caccia alle foche. Questo perché si tratta di un mezzo di sostentamento per i pochi discendenti dell’antico popolo dei Thule.
La caccia alle foche (come anche alle balene e ai trichechi) si pratica in Groenlandia. Specie nella zona settentrionale e orientale.
In Canada sono 300 mila i cuccioli di foca uccisi ogni anno, stando alle stime ufficiali. Il Canada, insieme alla Norvegia, si è schierato a fianco degli Inuit per convincere l’Europa a togliere il bando sulle importazioni di prodotti ricavati dai cuccioli.
Gli Inuit cacciano per avere la carne e non per la pelliccia, venduta solo come prodotto secondario. La loro caccia si differenzia in modo sostanziale da quella praticata in Canada dai cacciatori di pellicce.