Dino Martirano, Corriere della Sera 08/09/2010, 8 settembre 2010
I GIURISTI: SFIDUCIA NON PREVISTA. MA IL PROBLEMA POLITICO C’E’ —
Nell’era glaciale della «Guerra fredda», la presidenza della Camera spettava per equilibrio al maggior partito d’opposizione, il Pci: «E infatti succedeva che, nel dubbio, Ingrao, la Iotti e Napolitano davano ragione alla maggioranza mentre Amintore Fanfani, al Senato, nel medesimo dubbio risolveva la questione a favore della minoranza», osserva il costituzionalista Paolo Armaroli. E di quegli anni il professor Augusto Barbera, allora deputato del Pci, ricorda «gli scontri furibondi tra il capogruppo Natta e la presidente Iotti a causa dell’applicazione severa del regolamento». Poi, dal ’94, osserva il docente di Diritto pubblico Michele Ainis, «sono iniziati i guai perché, a causa di una sciagurata convezione tra i partiti, si è iniziato ad assegnare la presidenza della Camera a un esponente della maggioranza: e siccome l’appetito viene mangiando, dopo la Pivetti e Violante, dal 2001 la presidenza di Montecitorio è andata ai leader del secondo partito della coalizione vincente. Casini, Bertinotti e ora Fini».
Ora, dunque, si discute se Gianfranco Fini possa essere sfiduciato o meno dopo aver parlato a Mirabello da leader di un (nuovo) partito. La dottrina è unanime: «Non esiste né in Costituzione, né nei regolamenti lo strumento della sfiducia dei presidenti delle assemblee». Lo dice Paolo Armaroli dell’Università di Genova — ma anche gli ex presidenti della Consulta Piero Alberto Capotosti e Antonio Baldassarre — e lo conferma il collega Barbera: «Non si può chiedere a Napolitano ciò che Napolitano non può fare... Perché non può mica essere messa in discussione la legittimazione iniziale concessa al presidente della Camera. Quei voti, al pari di quelli espressi per eleggere il capo dello Stato, ormai sono archiviati».
Eppure — dopo il discorso di Mirabello — il problema politico esiste, concordano Armaroli, Ainis e Barbera. Soltanto il professor Pace de «La Sapienza» frena. E avverte: «Verificheremo in aula. Di certo ora non possiamo dire a priori che Fini sarà imparziale come presidente della Camera». Ma Armaroli argomenta, con una citazione: «Ho l’impressione che si stia comportando come il protagonista della "Giara" di Pirandello. Quello che nella giara ci entra e dice: "Qui ci faccio i vermi"». In altre parole: «Il passo indietro dovrebbe farlo lui perché già oggi, pur se non ha fondato un partito, è il capo di una fazione. E questa leadership è incompatibile con la presidenza».
Eppure la storia non è nuova, dissente Ainis che insegna a Roma Tre: «Come dimenticare l’intervista di Bertinotti che nel 2007 disse che Prodi era "l’ultimo poeta morente". Allora qualcuno chiese a Napolitano le dimissioni di Bertinotti?». Anche Pace è su questa linea: «C’è pure il precedente di Riccardo Villari, presidente della commissione di Vigilanza Rai, che, si disse allora da parte di autorevoli esponenti del centrodestra, non era sfiduciabile perché non lo sono i presidenti di Camera e Senato». A parti invertite, tuttavia, allora era il Pd a spingere per la sfiducia. Ma Barbera suggerisce un altro particolare, non secondario: «Il nostro sistema prevede che ci debba essere buona sintonia tra il governo e i presidenti delle assemblee perché l’ordine del giorno non lo fissa l’esecutivo, ma la conferenza dei capigruppo con una maggioranza qualificata, in mancanza della quale è proprio il presidente a tirare le somme». Dunque, se viene meno la «sintonia»? «Nasce un serio problema. Politico, non istituzionale».
Dino Martirano