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 2010  settembre 08 Mercoledì calendario

La grande finanza affonda ancora l´imposta che aiuta i poveri e il clima - ROMA - Raccoglierebbe un mucchio di soldi, da mille miliardi di dollari l´anno in su

La grande finanza affonda ancora l´imposta che aiuta i poveri e il clima - ROMA - Raccoglierebbe un mucchio di soldi, da mille miliardi di dollari l´anno in su. Frenerebbe la speculazione e renderebbe più trasparenti i mercati finanziari, diradando ad esempio le tenebre sui derivati. Potrebbe fornire i fondi per la lotta alla povertà e al cambiamento climatico (e ne avanzerebbero un bel po´). Ma dovrebbe essere realizzata contemporaneamente in tutto il mondo e rappresenterebbe una palla al piede per tutta la grande finanza, costringendola a modificare le operazioni sui mercati. La conclusione è che, anche dopo il tracollo del 2009, la Tobin Tax, una tassa sulle transazioni finanziarie, difficilmente vedrà la luce. «E´ difficile capire come dovrebbe funzionare in pratica», dice il ministro del Tesoro britannico, Osborne, uno dei suoi grandi oppositori: «Se ne discute da decenni e sospetto che se ne discuterà ancora per decenni». «Tecnicamente è fattibile, in pratica è difficile», ammette la sua collega francese Christine Lagarde, che ne è una grande sostenitrice: «Politicamente è desiderabile, finanziariamente imprevedibile». La Tobin Tax è una delle due proposte di intervento sui mercati discusse a Bruxelles dai ministri finanziari. Ma l´ipotesi di una tassa sui profitti delle banche - che compensi i governi per gli interventi degli ultimi due anni (i salvataggi delle banche sono costati all´Europa 5 mila miliardi di dollari) - ha buone probabilità di arrivare in porto, grazie anche all´appoggio congiunto di Parigi, Berlino e Londra. Al contrario, la tassa sulle transazioni finanziarie ha incontrato un´opposizione molto più decisa. L´idea fu lanciata nel 1972 da James Tobin, poi premio Nobel per l´economia. Da allora, è riemersa periodicamente nel dibattito, ma mai come ora era arrivata sul tavolo dei vertici, sponsorizzata da grande Paesi, come Francia e Germania. Il gettito potenziale sarebbe enorme. Il solo mercato valutario muove, a livello mondiale, 4 mila miliardi di dollari di transazioni ogni giorno. Anche un´aliquota dello 0,1% - in pratica un dollaro ogni mille scambiati - produrrebbe un gettito di 1.200 miliardi l´anno. Che si moltiplicherebbero, se la tassa venisse applicata, come suggeriscono francesi e tedeschi, anche alle altre transazioni. Il solo mercato internazionale delle obbligazioni registra 2.500 miliardi di nuove emissioni l´anno. I derivati in circolazione sono una montagna: nominalmente oltre 600 mila miliardi, anche se è difficile, oggi, valutare l´ammontare degli scambi. Paradossalmente, tuttavia, non è il costo della tassa che spaventa gli oppositori, ma la sua stessa esistenza. Per pagare la tassa, infatti, occorrerebbe registrare ogni transazione. Questo significa rendere trasparenti i movimenti sul mercato dei derivati, che oggi avvengono per lo più nel segreto delle trattative fra compratore e venditore, fuori borsa. Ma, più in generale, la registrazione rallenterebbe gli affari nelle borse e nei mercati valutari, rendendo impossibili le transazioni, in frazioni di secondo, realizzate via computer. Chi, come Parigi e Berlino, rappresenta piazze finanziarie relativamente piccole, sottolinea la funzione anti-speculazione della tassa. Chi, come Osborne risponde ai giganteschi interessi finanziari della City (da sola, Londra muove più di un terzo delle transazioni valutarie globali), si preoccupa degli ostacoli agli affari. D´altra parte, una Tobin Tax avrebbe senso solo a livello mondiale: lo ricorda il premier svedese, sottolineando che il suo Paese applicò una tassa simile, negli anni ‘80, solo per vedere la finanza muoversi in massa verso altri lidi. Se ne riparlerà al G20 di novembre, dove, tuttavia, anche gli oppositori si troveranno di fronte una cambiale in scadenza: quella degli aiuti ai Paesi poveri. Con la crisi degli ultimi due anni, il tema è sparito dall´agenda dei vertici. Al G8 del 2005, era al primo posto, con l´impegno a sborsare 50 miliardi l´anno. Ma, ha verificato l´Ocse (l´organizzazione dei Paesi ricchi), cinque anni dopo i poveri non hanno ancora visto neanche metà di quella somma. Secondo l´Oxfam, fra il 2008 e il 2009, gli aiuti dell´Occidente sono di fatto diminuiti di 3,5 miliardi. L´Italia ha tagliato i fondi del 31%, la Germania del 12, il Giappone dell´11. Anche gli impegni più recenti sono stati disattesi: per Haiti erano stati promessi oltre 5 miliardi di dollari. Per ora, ne sono arrivati un decimo: 500 milioni. Nel dibattito sui rischi della Tobin Tax, c´è anche quello di farsi trovare intrappolati, al G20 di novembre, in un braccio di ferro fra banchieri e poveri.