Marinella Correggia, il manifesto 8/9/2010, 8 settembre 2010
EGIZIANI A SECCO
Il sole picchia duro al Cairo, rendendo più gravoso per le donne portatrici d’acqua il peso delle taniche sulle loro spalle, e ancor più afoso il velo sul loro capo. Acqua che le abitanti dei quartieri più poveri vanno a prendere lontano da casa, in condotte che servono per l’irrigazione. Non è certo potabile, ma le donne spiegano al reporter dell’agenzia stampa terzomondista «Inter Press Service» che quella da bere la faranno prima bollire; una precauzione che certo non elimina le sostanze chimiche di sintesi ma al più i batteri.
Nei mesi scorsi le penurie idriche, aggravate dall’intensa calura estiva e dai continui black out elettrici (e dunque delle pompe) hanno costretto milioni di egiziani ad arrangiarsi in qualche modo per trovare acqua. Gli esperti spiegano che le limitate risorse idriche del paese sono sotto stress, e l’offerta di acqua è vulnerabile rispetto sia alle infrastrutture fatiscenti sia alle politiche nazionali.
In gran parte desertico, l’Egitto dipende dal Nilo per l’80% del proprio fabbisogno idrico; 50 anni fa un trattato piuttosto leonino assegnò a quello che è l’ultimo paese lungo il corso del fiume una quota di favore, trascurando i sette paesi a monte. Questi ora reclamano una fetta maggiore per il proprio sviluppo. Ma anche il Ministero egiziano dell’acqua e dell’irrigazione sostiene che la quota di 55,5 miliardi di metri cubi all’anno bastava nel 1959, ai suoi 24 milioni di (parsimoniosi) abitanti. Adesso gli abitanti sono 80 milioni. Il consumo medio pro capite così è sceso dai 1.900 metri cubi di 50 anni fa ai 700 di adesso (il livello di allarme indicato dall’Onu è di mille); e ai previsti 500 del 2020.
Le classi abbienti e medie consumano molta più acqua dei poveri, sia direttamente che indirettamente (ad esempio introducendo molta più carne nella dieta, con quel che ciò significa in termini di consumi idrici da parte degli allevamenti, anche se i mangimi vengono dagli Usa). Per non dire degli alberghi marini per turisti (in quanti ormai vanno a Sharm El Sheik e Ourgada...), dei campi da golf, dei quartieri ricchi. Al Cairo, se le tubature si rompono a Maadi o Zamalek, le riparano in giornata. Se succede nei quartieri poveri, questi stanno a secco per una settimana.
Si accusa il governo di assicurare gli approvvigionamenti idrici delle classi più abbienti e dei loro interessi economici, infischiandosene di piccoli contadini, comunità impoverite, governatorati più poveri. Un rapporto dell’Organizzazione egiziana per i diritti umani (Eohr) ha identificato disuguaglianze enormi nella distribuzione dell’acqua, soprattutto fra aree urbane e rurali ma non solo. L’anno scorso l’acqua fu deviata alle coste turistiche dell’Egitto del nord, ma intanto i villaggi intorno non ne avevano per gli usi domestici e irrigui.
Ma avere semplicemente l’acqua, già arduo, non basta. Il Nilo purtroppo è anche una fognatura: ogni anno assorbe 20 milioni di tonnellate di sostanze organiche e industriali inquinanti. E gli impianti di depurazione sono del tutto insufficienti. Metà della popolazione beve e usa acqua di fogna ben poco sanata...
Le acque reflue sono anche usate come tali per irrigare migliaia di ettari quando non c’è altro.
In luglio gli agricoltori dell’Egitto meridionale sono andati a protestare al Cairo di fronte al governo. Quelli di Fayoum, ad esempio, hanno spiegato che è impossibile ottenere acqua da irrigazione senza «raccomandazioni» o «bustarelle». Così i loro raccolti stentano, o si perdono.