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 2010  settembre 08 Mercoledì calendario

I test non fanno il medico - Nell’ambito del dibattito sulle prove di ammissione alle facoltà universitarie vale la pena raccontare la storia di un Premio Nobel inglese, Paul Nurse

I test non fanno il medico - Nell’ambito del dibattito sulle prove di ammissione alle facoltà universitarie vale la pena raccontare la storia di un Premio Nobel inglese, Paul Nurse. Cresciuto in una famiglia povera con il padre meccanico e la madre addetta alle pulizie, il giovane Paul all’età di 8 anni rimane incuriosito nel vedere volare nel cielo di Londra lo «Sputnik 2». Nella sua casa non ci sono libri, ma curioso di imparare supera con successo la scuola superiore. Ahimè, più volte non supera l’ingresso all’università per colpa del test di lingua francese, ma poi la commissione decide di fare un’eccezione e lo ammette ai corsi universitari e si laurea in biochimica. In pochi anni Paul diventa una stella nel firmamento delle scienze biomediche e conquista il Nobel nel 2001. Oggi, a 61 anni, sta per lasciare la presidenza della Rockefeller University, viene confermato presidente della Royal Society e in questi giorni accetta l’invito di direttore del nuovo centro di Biomedicina che sarà pronto nel 2015 e accoglierà 1500 ricercatori. Sarà il più grande centro di biomedicina d’Europa, nel quale si trasferirà, nel cuore di Londra, un antico e leggendario centro di ricerche mediche attualmente situato a Mill Hill, alla periferia della capitale. Questa nuova unità, detta la «Cattedrale della Medicina», vuole rompere le barriere fra le discipline, inserendo in un’unica struttura le più diverse branche mediche e la posizione di direttore viene oggi considerata la più ambita e prestigiosa in ambito europeo. Pochi giorni fa, Paul per ottenere la «green card» negli Stati Uniti ha chiesto all’anagrafe alcuni documenti e ha scoperto che i suoi genitori, in realtà, erano i suoi nonni, i quali avevano una figlia che, rimasta incinta, è vissuta nell’ombra. Paul è cresciuto con lei credendo che fosse sua sorella. Noto divulgatore scientifico televisivo, Paul ha recentemente voluto rendere nota la vicenda per «riabilitare mia madre, che per 50 anni ha voluto tenere il segreto per la vergogna». Al di là della singolarità del caso, questa storia rivela come in un sistema che funziona bene i cosiddetti limiti del metodo siano stati superati con il buon senso, con l’intento di procedere al meglio, procedura che in molti Paesi non può essere adottata, meno che mai nel nostro. In questi giorni abbiamo letto le più disparate critiche alle prove per l’accesso all’università nelle facoltà a numero programmato e in particolare a Medicina. Un esame di soli test a scelta singola non è il meglio e un colloquio a completamento sarebbe auspicabile. Ma coniugare imparzialità assoluta e merito non è cosa facile. Si possono suggerire cambiamenti, ma alcuni punti vanno messi in primo piano. Almeno in questa facoltà il numero programmato non si può toccare, se vogliamo che assieme al diritto allo studio venga tutelato il diritto dei cittadini alla salute. Peraltro, l’introduzione del numero programmato ha portato a un eccellente aumento del livello medio di preparazione e di professionalità dei medici e una riduzione significativa di una consistente sottopopolazione di scarsa qualità. Un secondo punto consiste nel fatto che non possiamo rinunciare a valutare entro certi limiti la cultura generale. Le reiterate e giuste critiche alla valutazione dell’esame di maturità hanno portato a sostituire tale valutazione con domande che a molti sono sembrate incongruenti con lo scopo della selezione. Che importanza ha che un affermato chirurgo ortopedico sappia se Garibaldi era o non era un musicista? E questo chirurgo avrebbe passato l’esame di maturità? Inoltre, se seguiamo questa logica, potrebbe porsi il quesito dell’importanza per il detto chirurgo di aver imparato il 90% di quanto previsto nei corsi universitari. Ci sono infermieri che sono bravissimi nel fare diagnosi proprio per la loro prolungata esperienza specialistica. Sono questi i medici che vogliamo? E’ sicuro che il medico che sa se Garibaldi era o no un musicista sia peggiore di quello che non lo sa? Io credo di no. Un numero limitato di domande dei test di ammissione, in mancanza della valutazione dell’esame di maturità, deve contribuire a valutare se siamo di fronte a una persona con un minimo di cultura e animato da quella curiosità che Paul ha avuto per lo «Sputnik» e che fa bene a tutti.