GIANNI PARRINI, La Stampa 8/9/2010, pagina 31, 8 settembre 2010
Mille guardiani per il gigante - C’è un gigante nascosto che dorme (ma non troppo) sotto milioni di metri cubi di acqua, adagiato nelle profondità del Tirreno
Mille guardiani per il gigante - C’è un gigante nascosto che dorme (ma non troppo) sotto milioni di metri cubi di acqua, adagiato nelle profondità del Tirreno. Si chiama Marsili, quasi nessuno lo conosce, eppure con i suoi 70 chilometri di lunghezza, 30 di larghezza e 3,5 di altezza è il più grande vulcano d’Europa. La sommità del monumentale complesso roccioso si trova a 500 metri dalla superficie e non è lontano dalle coste italiane: poco più di un centinaio di chilometri dalla Campania, qualcosa meno dalle isole Eolie e dalla Calabria. Fino a poco tempo fa, geologi ed esperti di vulcanologia non si curavano particolarmente del Marsili, considerato sì attivo, ma scarsamente propenso a generare fenomeni violenti. Ma i risultati di una nuova campagna di monitoraggio, effettuata quasi per caso, hanno fatto cambiare idea a molti addetti ai lavori: fumarole di gas, fango e acqua, oltre a nuovi piccoli crateri formatisi sulla superficie, indicano che il gigante si sta svegliando e, probabilmente, non è affatto di buon umore. «Nessuno può dire con certezza se e quando erutterà - spiega Giuseppe D’Anna, dirigente tecnologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, l’Ingv -. Ma un’attività come quella che abbiamo registrato è segno di un certo grado di pericolosità». L’attività a cui fa riferimento D’Anna è data dagli oltre mille eventi di origine vulcanica captati durante una campagna di monitoraggio di appena nove giorni. «Era la fine del 2006 e dovevamo testare il prototipo di uno strumento per effettuare rilevazioni sismiche sui fondali marini - racconta -. Lo posizionammo su una spianata vicina alla sommità del Marsili e, quando recuperammo l’apparecchiatura, fu grande il nostro stupore nel leggere i dati appena raccolti: eventi vulcano-tettonici come quelli registrati, infatti, di solito sono generati da passaggi di magma tra i vari condotti del vulcano». La strumentazione captò anche una novantina di degassamenti (la fuoriuscita di gas e di liquidi dai fondali), mentre informazioni sulla gravimetria e la magnetometria acquisite dall’Ingv di Porto Venere fecero ipotizzare la presenza all’interno del complesso roccioso di una camera magmatica satura di gas e materiali incandescenti, lunga 4 chilometri e larga 2. Da quel momento il Marsili è diventato una sorta di «sorvegliato speciale» e la soglia di attenzione della comunità scientifica intorno al gigante sommerso è andata aumentando. «Così, dal febbraio di quest’anno abbiamo avviato una nuova campagna di monitoraggio - prosegue D’Anna -. Sismometri, sensori per la temperatura e idrofoni sistemati sul fondo del mare ci dovrebbero permettere di avere un quadro più completo: un vulcano di tale pericolosità, infatti, non può essere lasciato a se stesso e non è sufficiente neppure affidarsi a sporadiche campagne di controllo». In attesa che venga creata una rete di sorveglianza attiva giorno e notte, in molti si domandano che cosa succederebbe adesso, in caso di un’esplosione improvvisa: «A memoria d’uomo il Marsili non ha mai eruttato - spiega D’Anna -. Può essere capitato in epoche lontane, ma di sicuro sappiamo soltanto che l’intero complesso si è formato in seguito a una catastrofe avvenuta migliaia di anni fa». Ma che cosa potrebbe succedere nel XXI secolo? «Se entrasse dell’acqua nella camera magmatica, le pressioni aumenterebbero enormemente e vi sarebbero esplosioni di potenza inaudita con conseguenze difficili anche solo da immaginare». In piccolo - spiegano gli esperti - è come avere una pentola di olio bollente immersa in una vasca piena d’acqua: se i due liquidi entrano in contatto, avviene il disastro. Oltre alle eruzioni, però, c’è un altro elemento che sta destando preoccupazione: si tratta del pericolo di un maremoto. «Le pareti del Marsili sono molto scoscese e, probabilmente, non troppo spesse - sottolinea il dirigente dell’Ingv -. Una frana o, peggio ancora, il collasso della struttura sposterebbero milioni di metri cubi di materiale e darebbero quindi origine a un vero e proprio tsunami, che in pochi minuti raggiungerebbe le coste italiane». Secondo i modelli di propagazione delle onde costruiti in laboratorio, in caso di crollo del vulcano, Calabria e Sicilia sarebbero colpite da un muro d’acqua alto 15 metri in meno di 10 minuti. E le conseguenze del maremoto toccherebbero anche le altre regioni della costa tirrenica. «Un evento simile, anche se in scala molto minore, avvenne nel 2002 con lo Stromboli - spiega D’Anna -. La caduta di un costone roccioso causò un’onda anomala che, fortunatamente, non provocò danni gravi, ma solo perché si era in dicembre e le spiagge erano deserte». In realtà - aggiunge - gran parte della zona tirrenica è soggetta a manifestazioni vulcaniche di questo tipo: «Perciò occorre un monitoraggio 24 ore su 24, un po’ come si fa sull’Etna. Un sistema simile permetterebbe di verificare la situazione in tempo reale e offrirebbe maggiori garanzie alle popolazioni di fronte al rischio maremoti». Più cauta è la posizione dell’Istituto di scienze marine del Cnr, l’Ismar, con sede a Bologna, che dagli Anni 80 vigila sul vulcano. «Il Marsili è attivo dal punto di vista geologico, ma quella dell’eruzione, a mio giudizio, è un’ipotesi piuttosto remota - dice Michael Marani -. Si tratta di un vulcano molto giovane, che ha circa 700 mila anni: la morfologia del sito e le rocce campionate mostrano che si è ancora in una fase di costruzione, più che di distruzione. Il Vavilov, per esempio, un vulcano di 3 milioni di anni che si trova in quella zona, è già allo stadio successivo e non a caso è privo di un fianco. Tuttavia, anche per il Marsili, il rischio di frane non può essere del tutto escluso. Ecco perché è fondamentale monitorare di continuo la situazione».