GABRIELE BECCARIA, La Stampa 8/9/2010, pagina 29, 8 settembre 2010
“Anche la mia verità è scomoda” - Pronunciate il nome Bjorn Lomborg e ogni ecologista politicamente corretto seppellirà lui - e voi - di improperi
“Anche la mia verità è scomoda” - Pronunciate il nome Bjorn Lomborg e ogni ecologista politicamente corretto seppellirà lui - e voi - di improperi. Ma lo scienziato più odiato dai verdi ha preparato una sorpresa. E’ un libro e si intitola «Smart solutions to climate change», soluzioni intelligenti al cambiamento climatico. Professore, finora lei era noto come «l’ecologista scettico» o, peggio, «il negazionista». Non più? «In realtà, sono ancora un “ambientalista scettico”». Spieghi la sua svolta. «Ho sempre sostenuto che il riscaldamento globale è reale e di origine umana: non ci sono cambiamenti d’opinione su questo punto. E ho anche sempre ripetuto che le soluzioni per contrastarlo non funzionano. Sono quindi scettico sulle strategie, perché continuiamo a promettere e in realtà non otteniamo nulla». E allora ha deciso di stupire tutti chiedendo, subito, un mega-fondo da 250 miliardi di dollari per contrastare l’impazzimento del clima. «Per i politici è facile promettere, ma poi è difficile e costoso e tagliare le emissioni inquinanti. Ecco perché il mio saggio è il tentativo di dare una risposta diversa. E’ stata chiesta a 28 tra i maggiori economisti del mondo e non si tratta certo di sogni, perché ciascuno si è interrogato sui costi di ogni idea e sugli effetti dei cambiamenti climatici a cui potrebbe rimediare. Ho quindi voluto dare un senso a ogni euro da spendere e poi è stata stilata una lista delle soluzioni più nuove, brillanti ed efficaci». Prima di arrivare alle idee, però, la conclusione è che occorre un’enorme quantità di denaro, 250 miliardi, appunto. «In realtà, la proposta di raccogliere i fondi per dare un impulso decisivo alla ricerca tecnologica con una “carbon tax” non è nuova: l’avevo già suggerita 3 anni fa. La novità è che adesso sono gli scienziati stessi a dire che questa iniziativa non solo è possibile, ma è la migliore». Purtroppo le tecnologie pulite non sono ancora disponibili o sono appena agli inizi: non è così? «E’ vero. Non sono pronte. Pensiamo al solare: è più caro dei combustibili fossili ed è il motivo per cui così tanti non lo usano, a meno che non ricevano forti sussidi». E quindi come si esce da questo circolo vizioso? «Invece di sostenere tecnologie inefficienti, dobbiamo spendere i soldi in “Research&Development” - ricerca e sviluppo - in modo da renderle migliori. Proviamo a immaginare: se riuscissimo a rendere le fonti verdi più a buon mercato del petrolio già entro 20-30 anni, allora tutti le adotterebbero, anche i cinesi e gli indiani, e non certo perché obbligati dai Protocolli di Kyoto o dagli accordi di Copenhagen». Molti pensano che non possiamo permetterci di aspettare così tanto. «Certo, a tutti piacerebbe che il futuro fosse domani, però non si possono tagliare le emissioni a meno che non siamo disposti a pagare il prezzo, un prezzo molto alto». Scendendo al concreto? «Faccio un esempio: i macromodelli energetici indicano che l’obiettivo di Copenhagen di una riduzione del riscaldamento globale di 2 gradi centigradi costerebbe, nella migliore delle ipotesi, 40 miliardi l’anno, fino a fine secolo. E’ un prezzo gigantesco, che non potrà essere sostenuto, ed è la ragione per cui non siamo ancora riusciti, e non riusciremo, a ridurre le emissioni in modo significativo». E perciò qual è il suo punto? «Vogliamo continuare a fallire, come avviene con la politica predominante dell’Ue e dell’Onu, o vogliamo trovare delle vie alternative? E’ chiaro che la situazione non potrà essere risolta domani e neppure tra 10-20 anni, ma potremo farlo nel medio termine, tra 30-50 anni. E’ questa la prospettiva intelligente e realistica». Come si convicono le opinioni pubbliche a subire la «carbon tax» in periodi di crisi? «La risposta breve è che probabilmente non si convinceranno. E tuttavia gli economisti sono d’accordo nel sottolineare che la tassa debba eguagliare il costo dei danni della CO2. Non dev’essere alta: bastano 7 dollari per tonnellata di anidride carbonica, il che equivale a 1-2 centesimi di euro per litro di benzina. Non è certo molto! E inoltre non dimentichiamo che in molte nazioni esiste già ed è anche maggiore. E allora si deve riconoscere che la “carbon tax”, se è “accademicamente corretta”, da sola non risolverà il riscaldamento globale: è essenziale che finanzi massicciamente la ricerca di fonti pulite». Crede ci sia un modo per spingere i governi a muoversi su questa strada? «Sono un professore e sono convinto che le buone ragioni tendano a prevalere, e non a caso il mio saggio sta facendo discutere, ma so che molti non leggono: ecco perché ho interpretato un film, che domenica sarà presentato al Toronto International Film Festival». Vuole fare l’anti-Gore, diventato famoso con «Una scomoda verità»? «In effetti è un antidoto ad Al Gore: il suo film ha stabilito l’agenda internazionale degli ultimi 5 anni e ora, con “Cool it”, spero di raccontare molte delle possibili soluzioni al cambiamento climatico che aspettano ancora di essere finanziate. Dobbiamo chiacchierare meno e spendere meglio e in modo più intelligente». Lei ha fatto ricredere alcuni dei suoi nemici storici, da «Friends of the Earth» a «Greenpeace», e anche il Nobel Rajendra Pachauri, che l’aveva definito addirittura «un Hitler». «Il riscaldamento globale è il tema ideale per provocare visioni opposte, in bianco e in nero, come un “non evento” oppure come “la fine del mondo”. La gente vuole scegliere tra una versione e l’altra, ma la verità non è né l’una né l’altra: si tratta di un problema, ma non è l’Apocalisse. E la mia posizione - che è intermedia - è tremendamente spiazzante per chi vive di dicotomie, sia per alcuni ecologisti sia per alcuni negazionisti. Pachauri l’ha capito».