Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 08 Mercoledì calendario

Quei cinque minuti dove l’errore è fatale - L’identificazione corretta del paziente al momento della trasfusione è il più efficace strumento per la sicurezza della terapia»

Quei cinque minuti dove l’errore è fatale - L’identificazione corretta del paziente al momento della trasfusione è il più efficace strumento per la sicurezza della terapia». Sul foglio di Richiesta di cura e trasfusione, all’ospedale Molinette di Torino, si legge chiaramente che al malato dev’essere chiesto nome e cognome, prima di ogni procedura. Soprattutto quando si tratta di una terapia che può mettere a rischio la sopravvivenza. Il dottor Marco Rapellino, responsabile del Risk Managment dell’ospedale piemontese, dice che sabato, nel pronto soccorso del suo ospedale, «quel protocollo non è stato assolutamente rispettato». Chi deve firmare le sacche di sangue da trasfondere è una delle domande che gli infermieri fanno spesso, anche sui blog sanitari. La risposta è una co-responsabilità: «La trasfusione è un atto medico - si legge in una delle tante indicazioni che vengono date anche ai corsi di formazione - e come tale dev’essere autorizzata da un medico». Ma può essere fatta da un infermiere: entrambi devono però esser certi dell’identità del paziente, o attraverso braccialetto elettronico, o - quand’è più immediato - chiedendo semplicemente nome e cognome al malato. Ogni anno in Italia si eseguono circa 2,5 milioni di trasfusioni di globuli rossi. «Qualcosa come settemila al giorno, e a fronte di questi numeri nel 2009 sono state 14 le segnalazioni di errori trasfusionali, che si sono rivelati mortali in due casi», calcola Giuliano Grazzini, direttore del Centro nazionale sangue che monitora i cosiddetti «eventi avversi». La manovra è codificata: «Dopo la prima identificazione (nome, cognome e altri dati anagrafici) si procede alla tipizzazione del gruppo sanguigno effettuando un “doppio check”, cioè due prelievi, onde evitare errori in questa fase - spiega Grazzini -. Poi, nel centro trasfusionale, si assegna il sangue al paziente e si prepara il trasferimento delle sacche al reparto dove c’è il ricoverato. A questo punto le sacche, con una targhetta ad hoc, prendono il nome del paziente cui sono destinate. E la sacca col nome del paziente viene quindi trasferita dove sarà prelevata al momento di usarla». Medico e infermiere non sarebbero solo co-responsabili dell’identificazione del malato (che nel caso tragico di Torino era cosciente e in grado di rispondere alle domande in pronto soccorso), ma anche della registrazione dei dati, compresa l’ora di inizio e fine trasfusione. «La morte dell’anziana donna alle Molinette è un incidente legato a un comportamento individuale», è la convinzione di Grazzini. Possibile che 5-10 minuti di trasfusione sbagliata portino alla morte? «Occorre tener conto - è l’opinione del responsabile del Centro nazionale sangue - dell’età avanzata della signora, affetta da altre malattie e in preda a una grave emorragia. In teoria, in questo caso, è possibile che una modica trasfusione di sangue incompatibile si sia rivelata mortale. Ma è bene attendere i risultati dell’autopsia». Nei due decessi segnalati in Italia nel 2009 era invece stata somministrata l’intera sacca di sangue. Il dottor Rapellino nasconde a malapena la sua rabbia: «Siamo l’ospedale che ha più procedure e tecnologie per evitare gli scambi di persona in ospedale e accadono queste cose». «Quanto successo alle Molinette - interviene l’assessore piemontese alla Sanità, Caterina Ferrero - è un caso molto grave, e mi riservo di fare ulteriori valutazioni appena avrò analizzato attentamente la relazione che il direttore dell’ospedale mi sta inviando».