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 2010  settembre 08 Mercoledì calendario

RIVISTE LETTERARIE, SIAMO ALL’ANNO ZERO?


Maurizio Cucchi di re­cente su queste pagine ha riproposto il proble­ma e la funzione delle riviste let­terarie. Senza dubbio esse cir­colano in ristretti gruppi, ma non al punto che «a leggerle so­no soltanto coloro che vi scri­vono » ed esprimo un’opinione diversa sul fatto che «manca u­na rivista culturale capace di presentare ad alto livello una rassegna informativa e critica di ciò che accade nel mondo del­le lettere e delle arti». Ma è questo il compito fonda­mentale di una rivista? Pur con­siderando legittimi pareri di­versi, condivido l’impostazione di Giuseppe Langella, secondo cui «per loro natura, le riviste hanno un’indole largamente antidogmatica, mostrano anzi, sovente, un vivace odore di ere­sia e una singolare attitudine critica, uniti peraltro a una spic­cata disponibilità sperimentale alla ricerca e al confronto. Esse si sforzano di agitare le acque remando assiduamente con­trocorrente. Le contraddistin­gue un tal quale piglio garibal­dino, incline alle enunciazioni perentorie e alla difesa partigia­na delle proprie tesi, diversissi­mo dalla sussiegosa prudenza della cultura accademica».

Oggi più che mai si avverte l’e­sigenza di superare il livello ’informativo’, delegato ai mass media, per attingere ad un li­vello ’rivelativo’ (Pareyson): in un momento di enorme povertà culturale alle riviste è richiesta una vera e propria elaborazione di idee. Si rende necessaria non una rivista-vetrina, ma una ri­vista- dibattito che apra oriz­zonti culturali e metodologici.

Dopo l’ubriacatura della critica formalista e della poesia neoa­vanguardista e minimalista, è indispensabile una petitio ad principia, un ripensamento del­la funzione della poesia, della letteratura, della critica e del­­l’arte all’interno di un modello antropologico elaborato in ba­se al pensiero contemporaneo, secondo l’invito dell’attuale Pontefice. Il nostro non è tem­po di estetica ’normale’, è in crisi il paradigma; si rende ne­cessaria una ’rivoluzione este­tica’ (mi si permetta di trasferi­re nel settore le concezioni di fi­losofia della scienza di Thomas Kuhn). Il ’vuoto’ stesso lo esige. Non mi preoccuperei se una ri­vista è letta da pochi; interessa la qualità di questi ’pochi’: «Un vero uomo basta per qualsiasi riforma» (Gandhi). Per questo una rivista letteraria oggi più che mai deve essere militante e pro­positiva, perché la società viene cambiata dalle idee e le idee non si vendono sui bancali del su­permercato o nei cassonetti del­la civiltà dei consumi; nascono nel nascondimento e nel lavo­ro di poveri ’artigiani della pa­rola’, la cui ricompensa è con­statare a decenni di distanza che i messaggi in bottiglia sono sta­ti recepiti, compresi e diffusi. Quando nel 1996 fu fondata A­telier

per mettere in luce i limi­ti di una critica formalista, non ci fu dibattito: dieci an­ni più tardi si elogia il ’pentimento’ di Todo­rov. La ’fine del Nove­cento’ proclamata nel 1997 fu guardata con sussiego: ora si è con­vinti che la poesia ita­liana è entrata in una nuova fase. Quando si documentò la presen­za di una generazione ’invisibi­le’ fra gli anni Ottanta e Novan­ta, ci fu una sollevazione: oggi si parla comunemente di ’gene­razione’. Quando nella critica fu introdotto il concetto di ’va­lore’, si controbatté che ogni te­sto va considerato nella sua u­nicità: oggi si avverte la neces­sità di un canone di orienta­mento. Quando si propose una poesia e una critica ’a misura d’uomo’, si obiettò che ci si po­neva contro ogni criterio ’scien­tifico’; oggi si è giunti alla con­sapevolezza che non esistono criteri scientifici. È questa la strada giusta per ridare vigore alle patrie lettere?