Viviana Daloiso, Avvenire 8/9/2010, 8 settembre 2010
STUDENTI "FANTASMA". UNO SU TRE SCOMPARE
Dispersi. Il mondo della scuola, delle agenzie educative, della politica, li chiama così. E mai parola fu più azzeccata. Gli studenti che anche quest’anno lasceranno il loro banco vuoto, in centinaia di istituti italiani, dispersi lo sono davvero. Non lasciano tracce. Non trovano collocazione. Non hanno futuro. Centoventiseimila fantasmi, secondo l’ultima fotografia scattata dall’Isfol (l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) per conto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali: ragazzi dai 14 ai 17 anni fuori da ogni percorso di istruzione e formazione. Una piaga insanabile. Il ministero dell’Istruzione l’ha sondata recentissimamente (era luglio), tracciando un quadro ancor più desolante. Su 616.600 iscritti al primo anno di superiori nel 2005-2006, ne sono arrivati al traguardo 190mila in meno. Per intendersi: uno studente su tre non ha conseguito il diploma nell’ultimo quinquennio. La situazione peggiore, manco a dirlo, al Sud e nelle Isole. Zone sferzate dalla crisi, dalla povertà, dalla disoccupazione. E anche dalla criminalità, che troppo spesso fagocita i ragazzi facendo della strada l’alternativa alla scuola. Sardegna e Sicilia si contraddistinguono così per una percentuale di abbandoni che sfiora addirittura il 40%.
Le cose vanno anche peggio se guardiamo fuori dai nostro confini. Il dato della dispersione scolastica ci mette addosso la “solita” maglia nera anche a livello europeo: l’abbandono formativo (che in base alla Strategia di Lisbona viene calcolato in base alle persone tra 18 e i 24 anni in possesso al massimo della licenza media) si attesta nel nostro Paese quasi al 20%, mentre in tutti gli altri supera di poco il 15 (il target previsto per il 2013 ha fissato il 10% come limite). E questo considerando che dal 2000 si è registrato un netto miglioramento della situazione (con una flessione del dato di circa il 6%). Le cause del fenomeno sono svariate, e certo non tutte imputabili all’efficienza del sistema scolastico. Gli esperti riconoscono nella dispersione il risultato della difficile situazione economica delle famiglie (e in questo caso i dati del Mezzogiorno parlano chiaro), per cui diventa necessario che anche i più giovani trovino un impiego e contribuiscano a sbarcare il lunario. Una situazione resa più grave dalla congiuntura economica degli ultimi anni. Ma a pesare sull’allergia dei ragazzi alle aule c’è anche il crescente desiderio immediato di “cose”: il motorino, la macchina, il cellulare di tendenza sempre più spesso vengono visti come obiettivi imprescindibili, che possono essere agguantati soltanto tramite il lavoro. Col risultato che i giovani si accontentano di professioni precarie e poco retribuite, che svolgono senza competenze. Per fortuna l’altro lato della medaglia è il notevole incremento dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale. Sempre in base ai dati Isfol emerge un progressivo radicamento delle sperimentazioni in quasi tutte le realtà regionali: dai 1.329 percorsi del 2003-2004 si passa ai 7.642 del 2008-2009. Il numero degli allievi, cioè, è aumentato di cinque volte in sei anni. E analizzando il rapporto tra il numero dei qualificati e gli iscritti al primo anno dei percorsi, risulta un’apprezzabile percentuale del 78,4% di allievi che non abbandonano, nonostante l’estrema “fragilità” sociale e scolastica del target di riferimento.
In campo scendono i ministeri, le Regioni, le realtà associative, le istituzioni religiose. L’obiettivo è fare sistema. Organizzare corsi, convogliare fondi, prevenire. E anche mappare la popolazione scolare: la disponibilità presso le amministrazioni locali di informazioni sullo stato scolastico-formativo dei 14-17enni rappresenta uno dei principali strumenti in tal senso, oltre che il riferimento obbligato per la costruzione dell’Anagrafe nazionale degli studenti gestita dal ministero dell’Istruzione. Ma il presidio del territorio interessa tuttora circa la metà delle amministrazioni regionali: solo 11 regioni, cioè, dispongono di un proprio sistema informativo. Un buco nero su un altro.