Antonello Cherchi, Il Sole 24 Ore 6/9/2010, 6 settembre 2010
QUADRI AL POSTO DELLE TASSE? DECIDE L’ESPERTO
Un Lancret o un Hartung non valgono le tasse. E neppure un Pugni. Un Burri invece sì. Lo scambio si può fare: lo Stato si tiene il quadro e il Fisco straccia la cartella esattoriale. Opere d’arte per appianare i debiti tributari: una strada che i contribuenti possono percorrere fin dal 1982, quando la legge 512 ha introdotto la possibilità di pagare le imposte dirette e quelle di successione privandosi di dipinti, sculture, reperti archeologici, collezioni archivistiche e librarie, terreni e immobili di pregio.
L’idea, però, ha fatto pochi proseliti. Prova ne è che la commissione mista Beni culturaliEconomia, la quale deve dire l’ultima parola sullo scambio, è rimasta inattiva per anni, complice anche la continua riorganizzazione del ministero di via del Collegio Romano. Si è ricostituita solo quest’anno a marzo e ha iniziato a operare a fine maggio. Ne fanno parte due rappresentanti dell’Economia, uno dell’Agenzia delle entrate e due soprintendenti. Al momento è presieduta da Mario Lolli Ghetti, che ai Beni culturali è responsabile della direzione per il paesaggio e le belle arti.
Sul tavolo della commissione sono finora arrivate solo cinque proposte e una decina risultano in istruttoria. Pochissime, se si considera il periodo di fermo della commissione. E questo anche se si tiene conto che nel 2001 l’imposta di successione è stata abolita e ripristinata nel 2006, ma con la franchigia di un milione di euro. «Eppure,oltre a essere un’opportunità per i contribuenti per fare pace con il Fisco, è un ottimo strumento – commenta Lolli Ghetti – per permettere allo Stato di fare acquisizioni di opere d’arte, soprattutto in un periodo come questo, dove le risorse per gli acquisti non ci sono».
Delle cinque proposte esaminate, solo una (anzi, per la verità, mezza) è passata. Tre sono state respinte e l’ultima ha richiesto un supplemento di istruttoria.
Ad avere avuto il via libera è stata la richiesta di una società di estinguere il debito con una tela di Alberto Burri. In passato era stato lo stesso artista a chiedere al Fisco di mettere una pietra sopra un debito di un miliardo di vecchie lire in cambio di dieci opere. E l’amministrazione aveva accettato.
La società aveva proposto, oltre a quella di Burri, anche un’opera del pittore tedesco Hans Hartung, ma la Galleria nazionale di arte moderna di Roma, alla quale la commissione ha chiesto un parere in quanto museo destinato a riceverla, ha risposto che il quadro si riferiva a un soggetto più volte dipinto dal maestro e, dunque, di interesse limitato. Stesso discorso per un quadro di Nicolas Lancret, pittore francese del Settecento, proposto da un altro contribuente. Anche in questo caso i tecnici dei Beni culturali – in particolare, la soprintendenza di Milano, alla quale il dipinto sarebbe stato destinato – hanno fatto sapere alla commissione che il soggetto dell’opera non era originale,perché l’artista lo aveva riprodotto in altri dipinti. Dunque, niente da fare. Parere negativo anche per quattro grandi sculture in bronzo di Walter Pugni.
C’è stato anche chi ha proposto di pareggiare le pendenze con un terreno in località Antro delle Sorti, a Palestrina. Un appezzamento in un’area archeologica e, dunque, di pregio dal punto di vista storico, ma con un valore di mercato minimo, perché inedificabile: circa 35mila euro. In questo caso, però, il "no" della commissione non è stato dettato dalla quotazione del terreno, ma dal fatto che il contribuente aveva già estinto il debito tributario. C’è da pensare, con moneta sonante. La commissione, tuttavia, ha proposto al ministero di acquisire comunque l’area – ovviamente, pagandola – visto il basso costo e l’interesse archeologico.
L’ultima richiesta esaminata attende ancora una risposta. Si tratta di una collezione di un centinaio di pezzi archeologici, di sicuro valore. Il problema è che nel giro di tre anni la stima della soprintendenza, chiamata in diverse riprese a valutare i reperti, è raddoppiata: da 170mila a 348mila euro. I rappresentanti del ministero dell’Economia hanno, pertanto, preteso di vederci chiaro e hanno chiesto un supplemento di istruttoria, che è tuttora in corso. Il Fisco non vuole correre il rischio di perderci. Già il legislatore gli ha imposto di accettare opere d’arte in luogo dei soldi e di certo il poco entusiasmo dell’amministrazione finanziaria per questa soluzione spiega in parte il flop dell’operazione.
«Quello che fa riflettere – commenta Lolli Ghetti – è non solo la scarsità delle richieste, ma pure la limitata varietà dei beni proposti. In passato, infatti, oltre a quadri, sculture e reperti archeologici di pregio, erano state offerte anche importanti collezioni archivistiche e librarie, palazzi e arredi».