Pitagora, il manifesto 5/9/2010, 5 settembre 2010
INCHIESTA SULLE GRANDI IMPRESE: FININVEST
(da www.sbilanciamoci.info) -
La Fininvest vede rosso
Berlusconi si gioca il governo, ma anche per le sue aziende l’età dell’oro è finita. Le società del premier stanno peggio del loro padrone. Grazie ai debiti del Giornale e di Mediaset. E all’acquisto di Ibrahimovic
di Pitagora* per il
Manifesto 5/9/2010
*Dietro lo pseudonimo di Pitagora si nasconde un esperto del sistema bancario e finanziario italiano, con esperienza in numerose imprese, banche e istituzioni. Il sito di Sbilanciamoci (www.sbilanciamoci.info), sul quale è stata pubblicata la prima parte di questo articolo e sarà pubblicata la seconda (che il manifesto anticipa qui), sta conducendo un’inchiesta sulle grandi imprese italiane. Quella che leggete sopra, un viaggio nella galassia delle aziende del presidente del Consiglio visto in veste di imprenditore, è la settima puntata. Le precedenti si sono occupate della Fiat (due, su «l’attacco e il distacco» e «la Fiat, l’Italia e il resto») [vedi frammento 1388924], dell’Eni (altre due, sugli «italiani all’estero» e sul «business del gas e del petrolio») [1388773], delle Ferrovie dello Stato («Il biglietto ancora da pagare») [1388927], della Olivetti («L’impresa che non c’è più») [1388926] e di Finmeccanica («Le armi come impresa») [1388925].
È opinione diffusa che la situazione economica e finanziaria del gruppo Fininvest fosse critica nei primi anni 90, mentre sia florida quella attuale. L’esame delle informazioni di bilancio, delle operazioni realizzate sui mercati finanziari, dei punti di forza nei confronti dei concorrenti e dei rischi che gravano sulle società del gruppo mostra una realtà differente.
All’inizio degli anni 90 il gruppo Fininvest era fortemente indebitato: nel bilancio consolidato del 1993 i debiti finanziari assommavano a circa 4.500 miliardi di lire e quelli commerciali superavano i 2.200 miliardi, ma le società operative si trovavano in una situazione favorevole nei mercati di riferimento. I rischi che gravavano sul gruppo riguardavano comportamenti degli amministratori censurabili sul piano penale, ma con improbabili ricadute sulle società operative. L’assetto proprietario, benché opaco e improprio, consentiva un’elevata flessibilità della gestione.
Le tre principali società del gruppo (Mediaset, Mondadori, Mediolanum) esprimevano elevate potenzialità di reddito perché operavano in mercati in espansione in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti. In particolare, Mediaset si trovava in una situazione di duopolio con la Rai, ma aveva una struttura organizzativa più agile, una gestione più flessibile ed era sottoposta a minori vincoli amministrativi; la quota di Mondadori nel mercato dei libri e dei periodici era maggioritaria e la carta stampata non subiva la concorrenza di altri media; il modello commerciale di Mediolanum, incentrato sulla rete di promotori finanziari invece che di sportelli fissi rappresentava uno schema più aggressivo e flessibile ma meno costoso rispetto a quello dei concorrenti; inoltre il mercato della previdenza privata e del risparmio gestito si trovava in una fase di espansione.
I punti di forza delle società operative consentirono la ristrutturazione finanziaria del gruppo attraverso l’apertura dell’assetto proprietario al mercato.
La ristrutturazione 1994-1996
Nel triennio 1994-1996 il gruppo realizzò una serie di operazioni straordinarie sui mercati dei capitali per ridurre l’esposizione con il sistema bancario. Complessivamente fu raccolta una somma pari all’intero indebitamento finanziario.
Nel giugno del 1994 fu collocato in borsa oltre la metà del capitale della Mondadori con un incasso netto di 800 miliardi (quello lordo fu di 990 miliardi); il prezzo delle azioni collocate in borsa fu di 15.000 lire (circa 7,8 euro).
A luglio del 1995 fu eseguito un aumento di capitale di Mediaset riservato ad alcuni investitori privati (Kirsh, Rupert, Al Waaled): a fronte del conferimento di 1.200 miliardi di lire, i nuovi soci acquisirono il 15% del capitale (6.800 miliardi il valore attribuito alla società, prima della ricapitalizzazione). Nei mesi successivi le principali banche creditrici di Fininvest convertirono parte dell’esposizione creditoria in azioni Mediaset detenute dalla capogruppo (5,2%).
A maggio del 1996 fu collocato in borsa il 23,4% di Mediolanum, società controllata congiuntamente dalla Fininvest e dal gruppo Doris. L’introito complessivo fu di 384 miliardi ripartito tra la società (100 miliardi come aumento di capitale) e i soci (l’incasso di Fininvest fu di circa 100 miliardi perché Doris vendette una quota superiore di azioni). Il prezzo di collocamento fu di 12.000 lire (circa 6,2 euro).
A giugno del 1996 avvenne il collocamento in borsa di circa 270 milioni di azioni Mediaset al prezzo di 7.000 lire (circa 3,6 euro) con un introito di circa 1.900 miliardi di lire. Fuori dai mercati regolamentati, la catena Euromercato fu ceduta a un gruppo francese della grande distribuzione. Alla fine del 1996 il gruppo Fininvest aveva azzerato l’indebitamento finanziario, iscritto in bilancio enormi plusvalenze e manteneva il controllo di Mediaset, con circa il 50% del capitale; Mondadori, con quasi il 50% del capitale; Mediolanum, con un patto di sindacato sottoscritto con Ennio Doris (insieme mantenevano il 76% del capitale); e la squadra di calcio del Milan, con la totalità delle azioni.
La gestione ordinaria 1997 - 2005
Non più gravate da livelli di debito eccessivi, negli anni seguenti le società operative produssero risultati soddisfacenti che sono stati massicciamente distribuiti agli azionisti. A sua volta la capogruppo Fininvest ha costantemente distribuito alle numerose società azioniste (quelle con lo stesso prefisso Italiana holding e suffisso un numero compreso tra 1 e 24) gran parte degli utili.
Le quotazioni delle azioni crebbero vistosamente, anche in relazione all’andamento generale della borsa: nel 2000 l’azione Mediaset arrivò alla quotazione di 52.000 lire (circa 27 euro).
Anche per effetto delle ingenti distribuzioni di utili, alla fine del 2004 la capogruppo presentava un indebitamento finanziario netto di 864 milioni euro. Nell’aprile del 2005 la Fininvest ha proceduto al collocamento presso investitori privati del 16,68% del capitale Mediaset a un prezzo per azione di 10,55 euro, con un introito superiore a 2 miliardi di euro. Alla fine dell’anno la capogruppo aveva disponibilità finanziarie per circa 760 milioni. Una parte delle azioni cedute è stata in seguito riacquistata e in questo periodo la quota di controllo è pari al 39%.
Il declino del quinquennio 2005 -2010
Negli anni più recenti l’andamento di borsa delle società del gruppo Fininvest non è stato favorevole. Nell’ultimo quadriennio, il valore delle azioni Mediaset si è più che dimezzato. A marzo del 2009 la quotazione ha toccato il minimo di 3,1 euro per azione, un prezzo inferiore del 20% a quello del collocamento del 1996. Le azioni Mondadori hanno perso oltre il 70% del loro valore nell’ultimo triennio. Il calo dei titoli Mediolanum è stato superiore al 60% in quattro anni. A marzo del 2009 l’azione ha toccato un prezzo minimo di 2,2 euro.
Agli attuali corsi di borsa, i titoli complessivamente immessi sul mercato dalla Fininvest esprimono un valore ampiamente inferiore a quello di collocamento. Tra il 1994 e il 2010 la capitalizzazione della Mondadori è scesa di oltre il 40%. Con riferimento all’ultimo collocamento di titoli Mediaset, la diminuzione di valore è stata di 1,1 mld di euro.
Secondo i dati consolidati pubblicati sul sito della Fininvest, la performance economica finanziaria del gruppo nel biennio 2007-2009 è stata non particolarmente favorevole. In particolare, Il fatturato è sceso da 6,2 a 5,4 miliardi di euro; l’utile è calato da 366 a 174 milioni (nel secondo semestre del 2008 il gruppo ha chiuso i conti con una perdita di oltre 30 milioni); l’indebitamento finanziario netto, escluso quello del Milan i cui conti non sono consolidati con il metodo integrale, è raddoppiato, passando da 597 a 1.175 milioni; il patrimonio netto è sceso di 365 milioni; gli investimenti sono calati del 28,5%, a 1,4 miliardi. Il downsizing del gruppo ha riguardato anche la compagine del personale, ridottasi di 3.300 unità e del 15,5%. Una parte considerevole degli oneri di ristrutturazione è gravata sui conti pubblici. I dati consolidati non danno peraltro conto delle politiche di bilancio, dei rischi e dei punti di debolezza delle società che compongono il gruppo.
Il pagamento congelato a De Benedetti
Con sentenza penale passata in giudicato, è stato accertato che nel 1991 il contenzioso con il gruppo De Benedetti per l’acquisizione della Mondadori fu risolto con la corruzione dei giudici chiamati a dirimere la controversia. In sede civile, il giudice di primo grado ha stabilito con sentenza immediatamente esecutiva in 750 milioni di euro l’ammontare da rifondere alla Cir a sollievo del danno subito. Un accordo tra le parti omologato dal Tribunale ha consentito alla Fininvest di congelare il pagamento fino alla conclusione dell’appello in cambio di una fidejussione bancaria per l’intero importo. Nel procedimento in corso, il collegio giudicante ha affidato a una terna di professori universitari di economia (Guatri, Martellini e Pellicelli) il compito di redigere una perizia tecnica per stabilire se l’entità del risarcimento sia corretta. Sebbene sia più che probabile, salvo imprevisti, che la Fininvest debba versare alla Cir una qualche somma a ristoro del danno subito, gli amministratori non hanno scritto in bilancio alcun accantonamento, basandosi unicamente su pareri di parte. Si tratta di una scelta non certo prudente che rende meno trasparente il bilancio consolidato e quello individuale della capogruppo.
I debiti di Mediaset
Il gruppo Mediaset è la principale fonte di reddito e liquidità della Fininvest: nel periodo 2004-2209 ha versato ai soci circa 2,5 miliardi di dividendi (circa il 90% dell’utile), di cui quasi uno alla controllante. Nello stesso periodo la situazione patrimoniale e finanziaria si sono però deteriorate: l’indebitamento finanziario è salito di oltre 1,6 miliardi e il patrimonio netto di competenza del gruppo è sceso di oltre 530 milioni di euro. A tale calo vi ha contribuito il riacquisto di azioni proprie per 417 milioni di euro a un valore superiore a quello più recente di borsa di circa 200 milioni, senza che la minusvalenza sia transitata da conto economico.
Anche i rapporti di bilancio che misurano l’efficacia della gestione sono peggiorati: nel 2004 il gruppo aveva investito meno di ottantanove centesimi per ogni euro di fatturato, nel 2009 il capitale investito ha superato i ricavi di oltre il 5%. Il bilancio, tradizionalmente criptico nella descrizione del capitale investito, non fornisce elementi utili a spiegare la ragione dell’incremento degli investimenti in rapporto al giro d’affari. In particolare gli investimenti in diritti televisivi e cinematografici hanno raggiunto i 2,6 miliardi, una cifra che richiederebbe un livello di dettaglio superiore. Nella voce avviamento, oltre all’investimento in Telecinco (363 milioni) è compreso quello concernente l’acquisto della società a responsabilità limitata TaoDue per 116 milioni.
Nel corso del corrente anno la controllata Telecinco ha realizzato un’operazione di rilevanza strategica: la società si è fusa con l’emittente televisiva spagnola Cuatro del gruppo Prisa ed ha acquistato una quota del 22,5% della Tv a pagamento iberica per una cifra prossima a 500 milioni di euro. Si tratta di operazione che rafforza la posizione competitiva di Mediaset sul mercato iberico ma indebolisce ulteriormente la struttura finanziaria del gruppo.
Le precedenti operazioni di portata strategica non hanno finora portato risultati al gruppo. L’acquisto del 33% della casa di produzione di format televisivi Endemol è costato oltre 220 milioni soltanto nell’ultimo biennio; nel 2009 il bilancio di tale società si è chiuso con una perdita di 338 milioni (malgrado utili straordinari per oltre 81 milioni realizzati in occasione della ristrutturazione del debito) e con il fatturato in calo di quasi il 9% rispetto all’anno precedente; secondo il sito Daily Beast la società si troverebbe in una grave crisi di liquidità e gli altri soci starebbero lavorando a una massiccia ristrutturazione finanziaria.
Nonostante i progressi commerciali, l’attività concernente il digitale terrestre rimane in perdita. La Corte di Giustizia europea ha condannato Mediaset a rifondere allo stato italiano circa 220 milioni di aiuti ricevuti impropriamente per favorire la diffusione tra il pubblico dei decoder. Il frequente mancato rimborso delle tessere prepagate scadute costituisce un rischio economico e di reputazione.
La maggiore debolezza del gruppo Mediaset riguarda la posizione competitiva sul mercato per almeno tre fattori. La crescente concorrenza della Tv a pagamento che offre programmi di migliore qualità, anche in campo giornalistico. La diffusione di internet come media alternativo anche per il godimento di spettacoli. L’apertura del mercato ad altre emittenti private consentita dal passaggio alla tecnologia digitale nella trasmissione del segnale televisivo. Le improprie condotte d’indebolimento del principale concorrente, la Rai, favoriscono il mantenimento di una soddisfacente redditività operativa nel breve periodo ma si tratta di una prospettiva con un potenziale d’azione limitato.
Mondadori e i fondi pubblici
Da alcuni anni il gruppo Mondadori persegue politiche di downsizing dell’attività attingendo massicciamente ai contributi pubblici per ridurre la compagine del personale. Il drastico contenimento dei costi operativi ha consentito di mantenere la redditività aziendale su livelli appena positivi, alla presenza di un trend decrescente dei ricavi.
La situazione appare assai più negativa per quanto riguarda il profilo patrimoniale. A fronte di un patrimonio netto consolidato di circa 550 milioni di euro, sono iscritte attività immateriali per quasi un miliardo di euro, relative a poste che hanno progressivamente perso il loro valore. Il patrimonio netto tangibile del gruppo è negativo per oltre 400 milioni di euro. La Consob, che dovrebbe vigilare sui bilanci delle società quotate, non ha finora comunicato al mercato alcuna informazione.
Un altro punto di attenzione per l’organo di vigilanza riguarda la partecipazione di minoranza (quasi il 40%) detenuta nella società europea di edizioni che pubblica Il giornale, il cui socio di maggioranza è Paolo Berlusconi. Da molti anni la società chiude costantemente i bilanci con una perdita d’esercizio considerevole (64 milioni di euro nell’ultimo triennio), costantemente ripianata per la quota di competenza dal socio di minoranza. Il cronico disavanzo costituisce un forte indizio che la pubblicazione della testata non sia un’iniziativa imprenditoriale avente scopo di lucro e costituisca per i soci di minoranza soltanto una voce di costo. Poiché la Consob dovrebbe tutelare gli interessi economici dei soci di minoranza delle società quotate, sarebbe interessante conoscere se è stata informata delle valutazioni date dagli amministratori della Mondadori ai business plan in base ai quali essi hanno ripetutamente deciso di ripianare le perdite di un’iniziativa dimostratasi fallimentare.
Per quanto riguarda i rischi, va poi ricordato che nel primo semestre dell’anno la società ha chiuso un contenzioso con l’amministrazione finanziaria dello Stato che reclamava imposte non versate per 173 milioni di euro, oltre sanzioni e interessi, versando all’erario soltanto il 5% di tale importo (8,6 mln). Tale operazione si è realizzata a seguito dell’approvazione di una norma ad hoc da parte del Parlamento. Il pagamento è stato imputato a bilancio come credito per imposte anticipate e non ha impattato sul conto economico. La Corte di Cassazione ha però fatto ricorso alla Corte di Giustizia europea sostenendo che la legge sarebbe contraria ai trattati internazionali; in caso di accoglimento del ricorso, la Mondadori potrà essere chiamata a versare l’intero ammontare dell’imposta (oltre 350 milioni di euro), oltre agli interessi e alle sanzioni. In ogni caso ne ha risentito la reputazione della casa editrice.
Mediolanum, rischiano gli assicurati
Mediolanum è un «conglomerato finanziario a prevalente settore assicurativo», le cui attività si estendono dalla previdenza individuale privata, l’assicurazione vita, il risparmio gestito e l’attività bancaria.
I ritmi di crescita sono stati veloci e con essi è salito il leverage: le attività iscritte nel bilancio consolidato del 2009 sono pari a 28,9 miliardi di euro mentre il patrimonio netto si attesta a 990 milioni, il 3,4% degli investimenti.
La qualità del patrimonio risente di oltre 170 miliardi di attività immateriali per lo più riferibili agli avviamenti iscritti in occasione dell’acquisto di alcune piccole società finanziarie estere (in prevalenza spagnole). Mediolanum detiene poi il 3,45% del capitale di Mediobanca acquistato a un prezzo superiore di circa 100 milioni agli attuali corsi di borsa.
Sebbene l’attività prevalente sia quella assicurativa, i rischi sono per lo più sopportati dagli assicurati: il rischio di circa il 70% dei titoli in portafoglio è a carico della clientela. Le commissioni attive sono elevate (oltre 515 milioni di euro nel 2009, includendo i proventi sul risparmio gestito) e una parte significativa si riferisce a commissioni di performance (oltre 150 milioni di euro).
Alla società rimangono in carico i rischi operativi tipici della gestione di una rete di promotori finanziari e i rischi di credito riguardante le operazioni sottoscritte tramite finanziamenti concessi dal ramo bancario del conglomerato. Essi tendono a emergere nelle fasi di crisi dei mercati finanziari, come l’attuale.
Il modello di business di Mediolanum si caratterizza dunque per la scarsa assunzione di rischi finanziari insieme alla fissazione di elevate commissioni di gestione e alla compartecipazione degli utili in caso di andamento favorevole dei corsi dei titoli. Nel medio periodo non sarà facile mantenere un buon livello di reputazione in caso di andamenti sfavorevoli dei mercati.
Il disastro finanziario del Milan
Dal 1987 e fino alla prima metà di questo decennio la maggior parte delle stagioni sportive del Milan sono state entusiasmanti. Non è stato un caso: per quasi vent’anni la società ha acquistato i giocatori più forti presenti sul mercato (i primi: Gullit e Van Basten) non badando alle spese di acquisto dei cartellini e d’ingaggio. Le vittorie sul campo accrescevano i ricavi e riducevano il fabbisogno finanziario.
Dal punto di vista economico e finanziario, il Milan ha cambiato il modo di gestire le società di calcio europee, mettendo in secondo piano l’equilibrio dei conti rispetto ai risultati sportivi e alla pubblicità per la proprietà. La diffusione in Europa di siffatto modello gestionale ha determinato l’esplosione dei costi delle società di calcio, molte delle quali si trovano in situazioni di forte precarietà finanziaria.
La parabola del Milan si è ora conclusa. Da alcuni anni, in campo, nelle competizioni più importanti, le vittorie sono un ricordo. Sul piano finanziario la situazione è disastrosa.
Secondo i bilanci consolidati del gruppo Milan riguardanti il triennio 2006-2008, gli ultimi pubblicati sul sito della società sportiva, emergono i seguenti principali dati: mentre i ricavi sono calati da 305 a 238 milioni di euro, i costi sono saliti da 257 a 311 milioni e il risultato d’esercizio è passato da un utile di 12 milioni di euro a una perdita di 67 milioni; mentre il patrimonio netto, costantemente negativo, è passato da -41 milioni a -65 milioni di euro, l’indebitamento è salito da 284 a 364 milioni di euro. La proprietà ha potuto non reintegrare il deficit patrimoniale perché nel 2005 sono state scorporate in una società interamente controllata attività immateriali relative al temporaneo sfruttamento commerciale del marchio, valutate in sede di perizia 184 milioni di euro. Sebbene, a dicembre del 2008, la rosa dei giocatori fosse prevalentemente costituita da atleti alla fine della carriera (ad eccezione di Kakà, Pato e Borriello) il valore netto dei cartellini era pari a 88 milioni di euro; del pari erano elevati gli impegni per il pagamento degli ingaggi. Dalle agenzie di stampa si è saputo che il bilancio del 2009 si è chiuso con una perdita di circa 10 milioni, grazie all’eccezionale plusvalenza realizzata con la cessione di Kakà al Real Madrid. Le prospettive per il corrente anno appaiono sfavorevoli, atteso che il mercato si è concluso senza cessioni clamorose e con gli acquisti di Ibrahimovic e Robinho.
Più deboli e con più concorrenza
A diciassette anni dalla prima crisi finanziaria, il gruppo Fininvest rischia di trovarsi nel volgere di qualche mese con un giro d’affari uguale o minore di allora, un indebitamento finanziario superiore e una redditività operativa inferiore. La Mondadori ha bisogno di un robusto aumento di capitale quantomeno per riportare le voci dell’attivo di bilancio a valori reali, il Milan deve reintegrare le perdite degli ultimi anni e ripristinare il patrimonio, la capogruppo sarà chiamata a risarcire la Cir e potrebbe cadere in una crisi di liquidità.
Ma è soprattutto sul piano strategico che emergono le maggiori difficoltà: agli inizi degli anni 90, le società operative esprimevano solidi vantaggi competitivi in mercati in espansione, ora si trovano a fronteggiare una concorrenza vieppiù agguerrita da un’intrinseca posizione di debolezza. Il non lineare assetto proprietario, semplificato solo in parte nell’ultimo ventennio, potrebbe rappresentare un altro motivo di vulnerabilità.