Varie, 6 settembre 2010
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Franqui Carlos
• Cuba 4 dicembre 1921, Porto Rico 16 aprile 2010. Scrittore • « C’erano almeno tre cose che Fidel Castro non gli avrebbe mai perdonato dopo averlo avuto, in Messico e sulla Sierra Maestra, tra i suoi barbudos. La prima risale agli anni eroici quando Carlos Franqui si accorse del trucco preparato per un reporter americano: il lider maximo gli faceva sfilare davanti più volte gli stessi guerriglieri affinché il giornalista credesse che erano molti più di quelli che erano in realtà. La seconda fu la sua direzione libera di Radio Rebelde, l’emittente della guerriglia; e di Lunes de Revolucion, il supplemento culturale che animò, insieme a Guillermo Cabrera Infante, dopo la vittoria contro il dittatore Batista. La terza sono quel tesoro di aneddoti che ci ha regalato in Vita, avventure e disastri di un uomo chiamato Castro, libro indispensabile per conoscere, molto al di là dell’agiografia di regime, il capo della rivoluzione cubana. […] Figlio di contadini poverissimi del centro dell’isola, era andato all’Università all’Avana grazie ad una borsa di studio. Giovanissimo si unì ai movimenti sindacali e studenteschi dell’epoca e, dopo il Golpe di Batista, fu incarcerato e torturato. Raggiunse Castro e Che Guevara in Messico nel ’56 e si unì alla guerriglia. Fino al ‘63, data della prima rottura con Castro che stava trascinando la rivoluzione nell’orbita sovietica. La rottura definitiva è del ‘68 quando Franqui firma un manifesto contro l’intervento militare sovietico in Cecoslovacchia. Uomo di straordinaria umanità e risorse (è stato critico d’arte, poeta, giornalista e scrittore) si ricostruì una vita in Europa dove conobbe Picasso, Sartre, Mirò, e si stabilì con la famiglia - la moglie Margot e i due figli, Carlos e Camilo - in Italia. Negli anni Novanta si trasferisce a San Juan de Puerto Rico (“perché mi ricorda la luce di Cuba”, diceva) da dove continua ad appoggiare la dissidenza cubana. E più tardi, dopo il Duemila, inizia a collaborare con Repubblica. “Un giornale che mi ha resuscitato dall’oblio della vecchiaia” e che aveva visto nascere nei primi anni d’esilio. Forse per questo ne era fiero e orgoglioso: “Sono anch’io un giornalista di Repubblica” […] diceva sempre» (Omero Ciai, “la Repubblica” 18/4/2010).