Anna Vullo, il Fatto Quotidiano 6/9/2010, 6 settembre 2010
VITE DA UOMINI TOPO
Sono una sorta di uomini-topo. Scavano a mani nude o con l’aiuto di pochi, rudimentali attrezzi. Si infilano in pertugi poco più ampi della tana di un animale selvatico. Avanzano quasi al buio lungo umide gallerie, raschiando le pareti di roccia con pala y picota, pala e piccozza, in cerca della vena giusta, del minerale che farà la loro fortuna.
Li chiamano pirquineros, da pircar, impilare le pietre una sopra l’altra come si usa per consolidare le gallerie durante gli scavi in miniera. Nella zona di Copiapó – non lontano dalla miniera di San José dove da un mese 33 uomini sono sepolti vivi a 700 metri di profondità – sono centinaia. Impossibile sapere quanti esattamente. Sono precari che sfuggono ai censimenti e che qualche volta agiscono al confine della legalità. La gran parte ha alle spalle una vita in miniera. Anziani di 70, persino 80 anni che scavano le montagne per arrotondare la pensione. Ma anche giovani che hanno abbandonato una carriera di salariati per tentare la sorte “in proprio”. Free lance delle miniere, seppure al gradino più basso della scala sociale. Archetipi del minatore nella forma più rozza e primitiva. I colleghi giovani li rispettano e li ammirano. Per l’esperienza che possiedono e il coraggio che dimostrano lavorando senza misure di sicurezza.
QUANDO IL 5 AGOSTO i 33 minatori di San José sono rimasti sepolti dalla frana, i pirquineros si sono offerti volontari per aprire un varco nella montagna e andar-li a cercare. Molti di loro a San José hanno lavorato anni. La miniera la conoscono bene, ne parlano come di una cosa viva. “I soccorritori sostengono che è troppo rischioso”, commenta Isaias Osandón, pirquinero ed ex dipendente di San José. “Ma la verità è che il presidente Piñera vuole accaparrarsi tutti i meriti del salvataggio. Il cerro ormai è tranquillo, la roccia si è stabilizzata. Se solo ci permettessero di avviare un contatto con los chicos, i ragazzi là sotto...”. Intorno a Copiapò è un orizzonte di montagne color ruggine devastate da migliaia di buche scavate dagli uomini-topo.
I pirquineros lavorano soli o in piccoli gruppi. Con i risparmi acquistano pale, carriole, carrucole e dinamite. Quando non possono comprare un piccolo appezzamento di terra da esplorare l’affittano a prezzi accessibili per un anno o due.
Con 100mila pesos al mese (poco più di 150 euro) Victor Espinosa ha affittato una miniera a Jesùs Maria, una ventina di minuti di pick up da Copiapò. “Perché renda dobbiamo guadagnare tra i due e i 300mila pesos al mese”, spiega. “Altrimenti non vale la pena”. Victor ha 71 anni e la faccia bruciata dal sole. E’ cresciuto in miniera. Lavora con un socio più giovane, Guillermo, 55 anni. Victor all’esterno, pronto a issare il minerale con una carrucola, Guillermo venti metri sottoterra a spaccare pietre e riempire un secchio di ferro arrugginito. Otto ore di lavoro al giorno, spesso anche di più. Per poi passare la notte in una baracca di compensato e lamiera: “Dormiamo qui per precauzione”, spiega Victor. “La notte c’è sempre il rischio che entri qualcuno e si porti via tutto”. I ranchos, le baracche dei pirquineros, sono sparse lungo tutta la vallata. Qualcuno ha piantato sul tetto la bandiera cilena, i più fortunati si sono costruiti casette di legno in stile chalet, con tanto di tendine alle finestre e garage per il pick up.
Un pirquinero può guadagnare dai 1600 ai 4-5000 dollari al mese, dal doppio al quintuplo dello stipendio di un minatore regolarmente assunto da un’impresa. Ma i rischi sono tanti. Il suo tenore di vita fluttua a seconda delle manciate di metalli preziosi che riesce a strappare a tonnellate di roccia, nonché al prezzo del rame e dell’oro. Un mese guadagna bene, il successivo nulla. Certo, può anche capitare il colpaccio. “Una volta, là sulla cordigliera”, indica Victor in direzione delle cime innevate. “Trovammo 15 chili d’oro in 3 giorni. E del più puro!”.
NELLA MINIERA DI JESÙS
Maria gli affari non vanno altrettanto bene. “Tonnellate di pietre senza valore”, sospira Victor. “Ma bisogna saper aspettare. Da un giorno all’altro può arrivare la chuculla, il minerale prezioso che ti cambia la vita”.
Joel Maloenda, un pirquinero che lavora a pochi chilometri da Victor, stringe in pugno una piccola pepita d’oro. L’ha fuso lui stesso per venderlo all’Enami (Empresa nacional de mineria), l’istituzione a cui si rivolgono i pirquineros per piazzare i minerali raccolti. “Oggi l’oro si vende a 16mila pesos al grammo”, spiega. “Con questa ne posso guadagnare 85mila (circa 133 euro, ndr)”. Quando sulla pietra appare una chispita, una pagliuzza d’oro, il primo passo è separarla dal resto per saggiarne la qualità. Il “laboratorio” dei pirquineros è quanto di più scarno e artigianale si possa immaginare. Un martello, una bottiglia d’acqua e la puruña, un contenitore di corno di vacca dalla forma di una piccola piroga. Con il martello si riduce il minerale in polvere, lo si passa nella puruña e lo si sciacqua con acqua finché sul fondo non si deposita una coda gialla: l’oro. Poi lo si recupera con il mercurio, che funge da calamita. I pirquineros più “moderni” usano macine di pietra e carrelli di ferro. Più o meno come nell’800.
Per gli standard locali Adriàn Flores ha messo in piedi un impianto all’avanguardia. A Ojos de Agua, che gestisce con cinque fratelli, processa l’oro con enormi macine di metallo per conto dei pirquineros. Quel che resta sul fondo dei macchinari, una specie di pasta d’oro meno preziosa, lo recupera e lo rivende per conto proprio. Da un sentiero di pietra che taglia il fianco della montagna come una ferita scende un uomo con il cappello da cow boy. E Sergio Plaza, 80 anni, uno dei più anziani della zona. Fino agli anni 50 ha lavorato come dipendente in diverse compagnie minerarie. Un giorno è caduto da 25 metri di altezza all’interno di una miniera, poco dopo s’è messo in proprio. Ha una placca di platino in un ginocchio: “Finché resto in attività non la sento, è la vita sedentaria che m’uccide”, ride. “Lavoro sempre da solo, mi basta la mia compagnia. Sono figlio del vento, come diceva mia madre”.
IL RANCHO DI ROBERTO
Valabarez, 66 anni, è organizzato con branda, fornello, radio e gli immancabili poster di donne nude alle pareti. “In miniera uso solo le mani”, assicura il minatore. “Il mio veicolo? Eccolo lì”, scherza indicando una carriola sgangherata. Per don Roberto è un giorno fortunato. Ha riempito solo tre pollos, sacchi da 50 chili, ma ha portato a valle quasi 20 grammi d’oro. Venduti sul mercato locale fanno 320mila pesos, oltre 500 euro. Per un pirquinero un piccolo patrimonio.