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 2010  settembre 05 Domenica calendario

IL TESSILE RITROVA GLI ORDINATIVI

Domanda in aumento, redditività crescente, un’offerta completamente rinnovata. Dopo due anni di apnea, prime boccate d’ossigeno per i distretti tessili italiani: «Vedo una ritrovata dinamicità, in tutta Italia», osserva Pierluigi Loro Piana, presidente di Milano Unica, che a pochi giorni dall’inaugurazione del Salone trova intorno a sé tutto quel che occorre per dare vita a un’edizione «giovane e spumeggiante, che senz’altro marcherà la differenza rispetto al buio degli ultimi due anni».
Impressioni che trovano conferma nei numeri, di nuovo con-trassegnati dal segno più. Dalla panoramica sui principali poli italiani emerge che «la prima metà dell’anno mediamente si è chiusa con un aumento dei volumi d’affari pari al 9%», riporta Loro Piana, ma le notizie migliori riguardano l’autunno: «Registriamo una crescita media degli ordinativi per il secondo semestre del 20-30%, con punte addirittura del 70 per cento», un balzo che dovrebbe consentire al comparto se non di eguagliare almeno di avvicinarsi molto alla performance del 2008. «La filiera non si è sfaldata, il fare sistema ci ha aiutato – prosegue il presidente di Milano Unica – e molte aziende, pur vedendo ridotti i loro volumi, si sono finalmente riposizionate su una redditività maggiore».
Tra il 2000 e il 2009 il tessile italiano ha perso più di 20mila imprese, e l’export è sceso da 39,3 a 32,9 miliardi. Ma gli addetti ai lavori sono concordi nel sostenere che il fondo si è toccato, e già dal 2010 non si potrà che risalire. A Biella, il presidente dell’Unione industrale, Luciano Donatelli, è convinto che per agganciare deifinitivamente la ripresa «serviranno ancora 6-8 stagioni, non di più». Le cifre elaborate da Unioncamere Piemonte dicono che nel 2009 l’export di prodotti tessili è crollato del 20,8% a quota 882,6 milioni;nel giro di vent’anni il polo è sceso dai 40mila addetti di partenza prima a 20mila, poi a 13mila, le fabbriche falcidiate dalla crisi si mettono all’asta in tribunale, ma l’impressione è che la nuova formula per competere sia stata individuata: «Abbiamo capito che è finita l’epoca dei tuttologi», spiega ancora Donatelli: «I nostri imprenditori, a loro spese, hanno compreso che senza specializzazione non si va da nessuna parte». Un esempio? «Basta pensare a un qualsiasi cappotto di lana, che una volta pesava quasi un chilo e oggi si aggira intorno ai 360 grammi. È il segno di un settore che ha subìto un’autentica rivoluzione in termini di innovazione oltre che di gusti: e noi su questo versante non abbiamo rivali». Tantomeno in Asia, che da grande concorrente si sta trasformando in «uno dei nostri migliori clienti, con le centinaia di milioni di consumatori attratti solo dall’alta qualità. Paradossalmente, saranno proprio i cinesi che ci imporranno un sistema di tracciabilità efficiente e trasparente, con la loro ossessione per il made in Italy autentico».
Anche Como lavora sul dopo-crisi: c’è chi punta sui tessuti utili nel settore sanitario, chi si inventa la cravatta con il taschino, chi fa aggregazioni e chi crea una rete di imprese in cui ognuno collabora con gli altri ma è anche libero di prendere commesse esterne. Ogni azienda cerca la sua strada per far fronte alle nuove caratteristiche del mercato, con un occhio di riguardo per i prezzi e tempi di lavorazione: «Le rendite di posizione - afferma Ambrogio Taborelli, presidente di Confindustria Como e imprenditore del comparto tessile - non sono più consentite. Oggi il prezzo con cui si va sul mercato non può più essere troppo distante dai costi. Le due cose devono andare di pari passo e ci deve essere un’attenzione costante al loro contenimento». Anche qui, dove si realizzano tessuti e prodotti per la parte alta del mercato, dove, uno si immagina, l’attenzione al prezzo dovrebbe essere meno alta. Forse sarà così per il cliente finale, quello che effettua l’acquisto in negozio.
Di certo non lo è lungo la catena degli operatori: «Anche i brand più famosi- precisa Taborelli- stanno attenti ai costi. Persino Hermes, per intederci, valuta il prezzo di ciò che compra ». E così la nuova asticella da superare per l’industria locale consiste nel mantenere le competenze e i livelli raggiunti in passato ma fare tutto con la massima efficienza e in tempi rapidi. Già, perché il fast fashion, la tendenza dei marchi a evitare le collezioni che restano sul mercato una stagione intera in favore di assortimenti che vengono ripetuti più volte in pochi mesi, ha cambiato il modo di lavorare.
«Il portafoglio ordini è cortissimo - prosegue il presidente di Confindustria Como - al massimo 3 settimane. Del resto ordini a due mesi non esistono più perché con un tale arco di tempo le commesse vengono fatte in Cina». Standard elevati, piccole quantità e tempi ridotti stanno modificando anche le tecnologie produttive, con la diffusione delle stampanti digitali che garantiscono maggiore flessibilità rispetto a quelle tradizionali in temini di volumi. Chi può, seppur in tempi difficili come questi, investe sulle nuove soluzioni perché anche grazie all’automazione è possibile ridurre i costi di produzione. Dopo mesi di bollettini di guerra con indicatori negativi, finalmente sono arrivati, seppur timidi, i primi segnali positivi: «Nulla sarà come prima – chiosa Taborelli - però se il nuovo scenario verrà affrontato nel modo giusto non escludo che si possa tornare ai livelli del passato».